Nel confronto televisivo tra i candidati alla Segreteria del PD di ieri sera, Giuseppe Civati ha nominato nel suo “pantheon” ideale Maria Carmela Lanzetta, fino al luglio scorso sindaco di Monasterace, un paesino della Calabria di 3500 anime, diventato fortino della legalità e simbolo della lotta alla ‘ndrangheta proprio grazie al doppio mandato di Maria Carmela. A venti giorni dalla sua seconda elezione, quattro individui incappucciati diedero fuoco alla sua farmacia, portando la lotta quotidiana del Sindaco alla drammatica ribalta dei media e della politica. Che non l’ha sostenuta come avrebbe potuto e dovuto, come ci dice lei stessa.
Maria Carmela, lei è stata definita il sindaco anti-ndragheta. Ci racconta perché?
Sono stata eletta la prima volta nel 2006 con oltre 500 voti di differenza sulla lista perdente. Ho iniziato l’attività amministrativa avendo davanti la naturale attitudine di lavorare affermando il concetto delle Regole, delle Legalità, del Merito e, soprattutto, del fatto che i cittadini sono tutti uguali e che il sindaco non avrebbe guardato in faccia nessuno, anche fra i suoi stessi consiglieri, assessori e collaboratori. L’abitudine ai compromessi,ai favoritismi e alle clientele, cui ci ha abituato la politica italiana dal dopoguerra in poi (Berlusconi, come scrive lei, non è stato la causa prima dei mali italiani, ma principalmente colui che li ha incarnati al meglio per 20 anni), sono prerogativa anche dei piccoli paesi e, pertanto, l’amministratore che mira a convincere della necessità etica e morale di un nuovo modo di amministrare come unica possibilità di non essere più costretti a “fare inchini” per non rischiare di sbattere contro le rocce della ndrangheta in modo diretto o indiretto, comincia ad essere visto dai politicanti di professione e dai consiglieri-assessori che da essi si fanno circuire, come un corpo estraneo che va ad intaccare un modo di “ragionare” che si è ormai consolidato per tantissimi anni, a parte qualche breve parentesi amministrativa.
Da qui sette anni di assedio mafioso tra minacce e atti intimidatori infiniti, a lei ma anche ai suoi collaboratori.
Esatto. Come a fine marzo del 2012, quando furono sparati tre colpi di pistola contro la mia macchina e altri colpi contro la serranda della farmacia. Era un periodo in cui avevo lanciato appelli ai cittadini per il pagamento dei tributi, avvertendo che avrei preso decisioni spiacevoli contro gli evasori, così come è avvenuto. Negli stessi giorni stavo accanto alle operaie delle Serre florovivaistiche che non ricevevano lo stipendio da quasi due anni, e per le quali avevo coinvolto anche la Camusso. Dopo la sparatoria abbiamo discusso in famiglia le dimissioni perché abbiamo avuto timore che gli organi dello Stato considerassero le intimidazioni alla stregua di routine. Temevo di dover amministrare con la paura di condizionamenti che avrebbero potuto coinvolgere anche la mia maggioranza, privandomi della libertà di fare determinate scelte. Per cui era meglio lasciare. In sostanza è quello che ha causato le mie dimissioni definitive nel luglio scorso, quando una scelta di valore della mia giunta (la costituzione di parte civile contro un dipendente) non è stata votata da un assessore creando un vulnus in grado di provocare una reazione a catena distruttiva rispetto a tutte le scelte positive fatte in passato.
Cosa l’ha portata a seguire la via della politica in un territorio in cui lottare concretamente a favore della legalità significa rischiare ogni giorno la propria vita?
La via della politica l’ho intrapresa dopo tantissimi anni trascorsi ad operare nell’associazionismo e, in particolare, come Presidente della Pro Loco, con la quale abbiamo privilegiato la crescita culturale del paese, realizzando una serie di manifestazioni annuali per la tutela e la sensibilizzazione dei beni culturali, soprattutto del sito archeologico ultimamente diventato sede di scoperte molto importante e uniche. Fare il passo verso l’amministrazione diretta del Comune è stata una scelta spontanea rafforzata dal favore della maggioranza dei cittadini. Ho fatto una scelta come di solito faccio io, cioè senza rete di protezione, animata solo dalla volontà di rinnovare un percorso di vecchia politica che durava da quasi trent’anni. Il risultato elettorale, eclatante, mi diede fiducia sulla convinzione che parlando e applicando le Regole e la Legalità non avrei dovuto temere nulla. Ho intrapreso un percorso in cui ho tentato di responsabilizzare i cittadini, tentando di far capire loro che ognuno di noi può contribuire a cambiare le cose, nel senso che la legalità e la partecipazione non si esauriscono soltanto nel giorno delle elezioni.
Lo scorso luglio, nel commentare un post di Civati che denunciava la sconfitta rappresentata dalle sue dimissioni, lei scrisse: “I partiti non comprendono la cosa più importante: quello che distrugge i piccoli amministratori, soprattutto quelli intimiditi, è la SOLITUDINE.” Cosa intendeva e cosa l’avrebbe fatta sentire meno sola?
Intendevo riferirmi al fatto che negli ultimi dieci anni sono stati censito più di 1000 (mille) intimidazioni contro i Sindaci, la maggior parte nel Mezzogiorno. Solo il mio caso ha sbloccato queste cifre che sono state divulgate con maggior evidenza dai mass-media. In tutti questi anni lo Stato, inteso come forze politiche, governi, ecc. ha considerato questi gesti come una routine, fino a che siamo arrivati all’uccisone del Sindaco Angelo Vassalli; ma neanche questo caso — su cui ancora non si sa nulla – è riuscito a smuovere decisamente le acque stagnanti dello Stato. Solo da pochi mesi sembra che il Parlamento si sia accorto che lasciare soli i Sindaci significa minare lo Stato nelle sue fondamenta, per cui c’è stata qualche timida iniziativa parlamentare, di cui aspettiamo gli sbocchi pratici. Ma mi lasci dire una cosa: una delle conseguenze positive che mi ha coinvolto e che mi ha commosso e che, ancora mi commuove, è stata invece la gara di solidarietà da parte di moltissime organizzazioni giovanili calabresi e del resto d’Italia, soprattutto della regione Emilia. Ho ricevuto e ricevo ancora, dopo le dimissioni, tantissimi inviti per parlare in moltissime città italiane della mia esperienza e, una delle cose che più mi riempie di soddisfazione, è che tutti mi dicono di sentire la voce di una donna normale e non quella di una politica. Ho sempre detto che ho solo cercato di fare il mio dovere, per come mi è stato insegnato dalla mia famiglia di cattolici militanti, ma liberi da condizionamenti. Dico sempre a tutti che volevo solo contribuire a fare di Monasterace un paese Normale; ma che, purtroppo, in certi contesti, anche la Normalità è Rivoluzionaria.
Qual è la via da seguire per vincere questa “rivoluzione”?
Come scrive Don Ciotti, dobbiamo essere consapevoli che i progetti e i percorsi sulla legalità non bastano, se poi si scontrano con la mancanza di prospettive. La lotta al crimine organizzato passa attraverso una revisione delle regole politiche amministrative, incluse quelle fiscali, tale da rendere lo Stato e le Amministrazioni Locali non “altro” rispetto ai cittadini.
È vero che ha amministrato Monasterace gratis?
Ho amministrato Monasterace rinunciando ad un indennità pari a 100.000 (centomila) euro. Per i miei spostamenti giornalieri agli uffici regionali (100 km) e provinciali (300km) ho sempre usato la mia macchina, che tra l’altro guidavo personalmente, pagando anche le eventuali spese di ospitalità e di rappresentanza.
Cosa consiglierebbe, oggi, ad un giovane che vuole intraprendere il mestiere della politica nelle regioni dove la criminalità organizzata è padrona del territorio?
La criminalità è diventata padrona del territorio nel momento in cui, specialmente nella Locride, ha instaurato un clima di paura e terrore attraverso vent’anni di sequestri di persona, di cui due nella mia famiglia, impoverendo e facendo fuggire al centro-nord decine di professionisti e piccoli imprenditori che avrebbero potuto fare investimenti con tutte le conseguenze positive del caso. Io ho scelto di restare perché amo la Calabria e ho sempre pensato che andare via, pur comprendendo ed essendo solidale con chi l’ha fatto, avrebbe impoverito la Regione ancora di più, lasciandola completamente in mano ai gruppi criminali. Ai giovani mi sento di dire di guardare agli esempi delle persone e non ai discorsi più o meno elettorali. Guardare alla coerenza tra promesse e fatti, perché in Italia, gli esempi da questo punto di vista sono molto rari. Dico loro di intraprendere la via politica ma solo dopo aver fatto un esame di coscienza sul perché lo vogliono fare: se è solo e soltanto ambizione personale, faranno del male a se stessi e alla Politica.
Lei si è schierata al fianco di Giuseppe Civati. Cos’ha di diverso rispetto agli altri?
Ho scelto Civati perché vedo in lui la possibilità di un nuovo corso e una coerenza tra l’essere Persona e la Politica che propone per il PD e per l’Italia. Vedo un anti-leader che propone Responsabilità e Partecipazione dei Cittadini, per tentare di liberare il PD dal condizionamento degli apparati.
La mozione di Civati, come sottitolo, recita “dalla delusione alla speranza”. C’è dunque una speranza ancora viva, per l’Italia.
Certo che sì. Però, affinché la speranza non rischi di diventare una consolazione a futura memoria, io la intendo come scriveva Sant’Agostino: La speranza ha due bellissimi figli: lo sdegno e il coraggio. Il primo di fronte a come vanno le cose; il secondo per cambiarle.