L’aumento IVA è vivo e lotta insieme a noi

Il dibat­ti­to sul­l’aumen­to IVA ha ora­mai rag­giun­to un pic­co di sur­rea­li­smo non più egua­glia­bi­le. Come se non esi­stes­se­ro le clau­so­le di sal­va­guar­dia che, come un pic­cio­ne, sono là — fer­me — a guar­dar­ci sul­la guglia del 1 Gen­na­io 2018.

Ren­zi sostie­ne di non aver aumen­ta­to le tas­se. Ed ora si dice con­tra­rio al pre­vi­sto aumen­to IVA, scol­pi­to nel­la pie­tra del­la Leg­ge di Bilan­cio 2017, scrit­ta pri­ma del 4 Dicem­bre e quin­di ope­ra sua. Sarem­mo por­ta­ti, ora, a sco­va­re qual­che riman­do alla psi­ca­na­li­si freu­dia­na. Ma ci trat­te­nia­mo e restia­mo nel sol­co del­la polemica.
Le clau­so­le di sal­va­guar­dia debut­ta­no nel­la “tumul­tuo­sa” esta­te del 2011, quel­la del red­de ratio­nem di Ber­lu­sco­ni. Fun­zio­na­no così: si iscri­vo­no dei sol­di a bilan­cio pre­ve­den­do­ne la coper­tu­ra tra­mi­te una misu­ra non cer­ta, da com­pie­re nel futu­ro ed entro una tale data. La clau­so­la agi­sce garan­ten­do tale coper­tu­ra qua­lo­ra le misu­re pro­spet­ta­te non ven­ga­no por­ta­te a com­pi­men­to, oppu­re qua­lo­ra le som­me pre­vi­ste sia­no infe­rio­ri a quan­to sti­ma­to in ori­gi­ne. Si trat­ta qua­si di una for­mu­la obbli­ga­ta, men­tre infu­ria la tem­pe­sta del­lo Spread sui nostri tito­li di Stato.
Il lasci­to di quel­la ori­gi­na­ria clau­so­la di sal­va­guar­dia è pas­sa­to di mano in mano sino ai gior­ni nostri, come una reli­quia. Nel 2015, il gover­no Ren­zi ste­ri­liz­za le clau­so­le ere­di­ta­te dal gover­no Let­ta, ma ne inse­ri­sce di nuo­ve, che coin­vol­go­no l’im­po­sta sul valo­re aggiun­to. Si trat­ta di 2,8 miliar­di nel 2016, 19,2 miliar­di nel 2017 e 22 miliar­di dal 2018. Si disin­ne­sca­no con la rea­liz­za­zio­ne di tagli di spe­sa (ah, la spen­ding review) per le sud­det­te cifre. Con le suc­ces­si­ve mano­vre finan­zia­rie, è sta­ta otte­nu­ta fles­si­bi­li­tà di spe­sa nei mar­gi­ni indi­ca­ti dal­la Com­mis­sio­ne Euro­pea, ma è rima­sto in pie­di l’au­men­to IVA del 1 Gen­na­io 2018. Dician­no­ve miliar­di. Nel frat­tem­po i nostri con­ti sono fini­ti sot­to esa­me da par­te del­la Com­mis­sio­ne Euro­pea, stan­te alla debo­lez­za del­la Leg­ge di Bilan­cio 2017, costrui­ta per com­pia­ce­re l’e­let­to­ra­to in vista del Refe­ren­dum Costi­tu­zio­na­le del 4 Dicembre.
Già un mese fa, Mario Semi­ne­rio rac­co­glie­va l’in­di­scre­zio­ne de Il Mes­sag­ge­ro (Andrea Bas­si e Luca Cifo­ni sul nume­ro dell’8 Mar­zo) secon­do cui il gover­no Gen­ti­lo­ni sta­va pen­san­do ad un aumen­to del’a­li­quo­ta inter­me­dia del­l’im­po­sta sul valo­re aggiun­to dal 10% al 13% e di quel­la ordi­na­ria dal 22% al 24% (toh, il mede­si­mo incre­men­to pre­vi­sto dal­le clau­so­le di sal­va­guar­dia), con la fina­li­tà di far vale­re l’ex­tra get­ti­to in ter­mi­ni redi­stri­bu­ti­vi per il taglio del cuneo fisca­le di impre­se e lavoratori.
Si dà il caso che que­sta ipo­te­si sia simi­la­re (se non iden­ti­ca) al caso di stu­dio for­mu­la­to dal Cen­tro comu­ne di ricer­ca del­la Com­mis­sio­ne Euro­pea, con­te­nu­to nel­la Rela­zio­ne per pae­se rela­ti­va all’I­ta­lia per l’an­no 2017. Nel riqua­dro 4.1.1 (pag. 33) si for­mu­la­no due sce­na­ri, il pri­mo con il solo aumen­to del­l’a­li­quo­ta inter­me­dia (basa­to su un impe­gno pre­vi­sto dal pro­gram­ma di sta­bi­li­tà per il 2016, poi abro­ga­to in Leg­ge di Bilan­cio 2017 e che ha com­por­ta­to la revi­sio­ne del­l’o­biet­ti­vo di disa­van­zo al 2,3% sul PIL), il secon­do con l’au­men­to di entram­be le ali­quo­te, inter­me­dia e ordi­na­ria. Nel­la simu­la­zio­ne, le risor­se sup­ple­men­ta­ri sono uti­liz­za­te o per un cre­di­to d’im­po­sta rim­bor­sa­bi­le per i red­di­ti da lavo­ro dipen­den­te, o per un cre­di­to d’im­po­sta rim­bor­sa­bi­le per i red­di­ti da lavo­ro dipen­den­te e da lavo­ro autonomo.
Ragio­nia­mo­ci un secon­do. L’I­ta­lia vuo­le fare mag­gio­ri introi­ti dal­l’I­VA e impie­gar­li in otti­ca redi­stri­bu­ti­va? Non sareb­be for­se meglio cer­ca­re di recu­pe­ra­re par­te di quei 37 miliar­di di Euro che rap­pre­sen­ta­no la dif­fe­ren­za tra il poten­zia­le e il rea­le?
Secon­do i dati del­l’an­no 2016, l’I­ta­lia dovreb­be incas­sa­re 133,7 miliar­di di get­ti­to IVA. Inve­ce, il Fisco Ita­lia­no ne incas­sa cir­ca 96,9 miliar­di di Euro. La dif­fe­ren­za tra il modo con­di­zio­na­le e quel­lo indi­ca­ti­vo è det­ta VAT GAP.
In Ita­lia, que­sta dif­fe­ren­za tra il get­ti­to teo­ri­co e quel­lo rea­le equi­va­le a 36,8 miliar­di di euro, ossia al 27,55%. Per ave­re un’i­dea, quat­tro vol­te il peso sul bilan­cio del­lo sta­to del bonus ren­zia­no da 80€. Il 27% di VAT GAP ci vale una posto ai pie­di del podio del­l’e­va­sio­ne IVA, dopo Litua­nia, Slo­vac­chia e Grecia.
E’ la stes­sa Com­mis­sio­ne Euro­pea a sot­to­li­nea­re nel­la rela­zio­ne come “il ricor­so piut­to­sto limi­ta­to alla fat­tu­ra­zio­ne e ai paga­men­ti elet­tro­ni­ci osta­co­li la lot­ta all’evasione fisca­le”. E poi, lapi­da­ria: “Le recen­ti misu­re per miglio­ra­re l’a­dem­pi­men­to degli obbli­ghi fisca­li, qua­li la fat­tu­ra­zio­ne elet­tro­ni­ca obbli­ga­to­ria, insie­me alla scis­sio­ne dei paga­men­ti (split pay­ment) per gli acqui­sti del­le ammi­ni­stra­zio­ni pub­bli­che e all’inversione con­ta­bi­le in set­to­ri spe­ci­fi­ci, sem­bra­no esse­re sta­te inefficaci”.
Sareb­be for­se meglio met­te­re in atto poli­ti­che pre­ci­se e con­cre­te, vol­te a rifor­ma­re le moda­li­tà di paga­men­to del­l’I­VA, ver­so una loro sem­pli­fi­ca­zio­ne (soprat­tut­to per i pic­co­li com­mer­cian­ti). Alla ridu­zio­ne di ali­quo­ta per i beni di pri­ma neces­si­tà che oggi non sono rico­no­sciu­ti come tali e che rap­pre­sen­ta­no per il gene­re fem­mi­ni­le una tas­sa­zio­ne ingiu­sta. A fare per dav­ve­ro lo split pay­ment, come sus­sur­ra­to da Padoan, qua­si vergognandosene.
Sem­pre citan­do la Commissione:

la fat­tu­ra­zio­ne elet­tro­ni­ca non è obbli­ga­to­ria tra pri­va­ti, il ricor­so ai paga­men­ti elet­tro­ni­ci rima­ne ben al di sot­to del­la media del­l’UE e di recen­te sono sta­ti innal­za­ti i limi­ti all’u­so del contante.

Si potreb­be pen­sa­re a con­ge­gna­re san­zio­ni real­men­te dis­sua­si­ve e nor­me (anche pro­ces­sua­li) che per­met­ta­no alle stes­se di ave­re abba­stan­za pro­ba­bi­li­tà di esse­re effet­ti­va­men­te appli­ca­te ed ese­gui­te. Invece.
Inve­ce diven­tia­mo vit­ti­me di que­sto assur­do dibat­ti­to vol­to solo a evi­den­zia­re distan­ze che non ci sono dal momen­to che, chi si lamen­ta del­l’au­men­to, è il mede­si­mo che lo ha inne­sca­to. Alla fine, alza­re l’a­li­quo­ta è — per chi ci gover­na — la via più sem­pli­ce e sbrigativa.
Pie­tro Nico­la Salemi
Davi­de Serafin

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