Il lavoro ai tempi del jobs act e delle dichiarazioni di Poletti

Per spiegare il precariato giovanile ai tempi delle dichiarazioni beffarde di Poletti, non bisogna esser esperti del lavoro, ricercatori esperti nella materia, ma basta farne esperienza sulla propria pelle.

A segui­to del­la pub­bli­ca­zio­ne del­la let­te­ra di Gine­vra, vi pro­po­nia­mo un’ul­te­rio­re testi­mo­nian­za di un’al­tra gio­va­ne don­na alla ricer­ca di lavo­ro che ci ha scritto.

Quan­do anco­ra non ave­vo una per­ce­zio­ne effet­ti­va del mon­do del lavo­ro e del­la ricer­ca in Ita­lia, non ero per nien­te con­sa­pe­vo­le di cosa fos­se il pre­ca­ria­to impo­sto dal­la rifor­ma del lavo­ro, dal­le pre­sta­zio­ni ripa­ga­te coi vou­cher e con la pau­ra di per­de­re anche un mini­mo di entra­ta men­si­le, in gra­do, se tut­to va bene, di per­met­ter­ti di paga­re l’affitto.

Per spie­ga­re il pre­ca­ria­to gio­va­ni­le ai tem­pi del­le dichia­ra­zio­ni bef­far­de di Polet­ti, non biso­gna esser esper­ti del lavo­ro, ricer­ca­to­ri esper­ti nel­la mate­ria, ma basta far­ne espe­rien­za sul­la pro­pria pel­le.

L’esperienza del pre­ca­ria­to gio­va­ni­le in Ita­lia par­te dal­la ricer­ca di un lavo­ro nel pri­va­to. Dopo due lau­ree, cer­ti­fi­ca­zio­ni di lin­gua, sta­ge all’estero ed espe­rien­ze abba­stan­za sod­di­sfa­cen­ti nell’ambito del­la comu­ni­ca­zio­ne e del gior­na­li­smo onli­ne, pen­si che non sia tan­to dif­fi­ci­le tro­va­re un posto di lavo­ro appa­gan­te e ben remu­ne­ra­to. La real­tà, però, per un gio­va­ne ven­ti­cin­quen­ne in Ita­lia, è tutt’altro che rosea.

Dopo diver­si ten­ta­ti­vi di can­di­da­tu­ra per sva­ria­ti lavo­ri nel cam­po del­la comu­ni­ca­zio­ne, dal gior­na­li­smo all’ufficio stam­pa, dal ruo­lo di redat­to­re per una casa edi­tri­ce a quel­lo di copy­w­ri­ter, un bel gior­no arri­va l’email di rispo­sta di un’agenzia di comu­ni­ca­zio­ne di Roma, di cui non fac­cio nome. Sem­bra­no vera­men­te inte­res­sa­ti al mio cur­ri­cu­lum — per una vol­ta! -. Han­no biso­gno di una come me, dico­no, e mi chie­do­no di for­ni­re più indi­ca­zio­ni riguar­do alla mia espe­rien­za all’estero e ai ruo­li ricoperti.

Dopo gior­ni di trat­ta­ti­ve onli­ne arri­va la chia­ma­ta con­clu­si­va, duran­te la qua­le la recrui­ter mi chie­de di pas­sa­re entro poche ore dall’ufficio per siste­ma­re il lato buro­cra­ti­co ed entra­re nel team. Con un misto di scon­cer­to e imba­raz­zo rispon­do che non mi tro­vo a Roma in quel momen­to, non viven­do lì, e che non so anco­ra che tipo di con­trat­to mi stia­no offren­do. Non vor­ran­no mica che io intra­pren­da un viag­gio per fir­ma­re un con­trat­to di lavo­ro di cui non cono­sco i ter­mi­ni e, soprat­tut­to, l’aspetto remunerativo?

La recrui­ter al tele­fo­no cam­bia improv­vi­sa­men­te tono. For­se le sono sfug­gi­te le pri­me righe del mio cur­ri­cu­lum, in cui ho impa­ra­to, per espe­rien­za, a indi­ca­re indi­riz­zo di resi­den­za e di domi­ci­lio. “Come non è qui a Roma? Que­sto è un pro­ble­ma. Noi paghia­mo mas­si­mo 500€ euro al mese per­ché offria­mo con­trat­to di sta­ge, se poi non pos­sie­de una casa qui… Insom­ma, a Roma 500€ non basta­no per vive­re…”.

Non ho una casa di pro­prie­tà a Roma, ma nean­che a Bolo­gna, Pado­va, Mila­no, Vene­zia, cit­tà dal­le qua­li ho rice­vu­to rispo­ste simi­li. Sono nata in Cala­bria e non fac­cio par­te del­la casta che ha a dispo­si­zio­ne più case in giro per l’Italia, né pos­so paga­re inva­no un affit­to in ogni cit­tà in cui cer­co di inse­rir­mi. Rispon­do, quin­di, alla recrui­ter dicen­do­le che pur­trop­po non sono domi­ci­lia­ta a Roma ma che il lavo­ro mi inte­res­sa, non tro­van­do altro da tem­po, e che sono dispo­sta a far­ne anche due insie­me per mantenermi.

Non è pos­si­bi­le, però, svol­ge­re un lavo­ro paral­le­lo a quel­lo di mio inte­res­se, visto che il con­trat­to di sta­ge pre­ve­de un impe­gno full time in agen­zia e dun­que la signo­ra al tele­fo­no mi salu­ta dicen­do­mi “Guar­di, lascia­mo per­de­re, non può vive­re qui con que­sto lavo­ro”.

Una vol­ta ter­mi­na­ta la tele­fo­na­ta, ti chie­di come si pos­sa con­ti­nua­re a far fin­ta di nien­te, che tut­to vada bene, per­ché, tut­to som­ma­to, alla fine qual­co­sa per arran­giar­si si tro­va. Qual­co­sa che spes­so non è quel­lo che avrem­mo sperato.

Toglier­si dai pie­di non è sem­pre faci­le e non deve esse­re una scel­ta det­ta­ta dal­la dispe­ra­zio­ne, ma con­sa­pe­vo­le. I gio­va­ni ita­lia­ni all’estero lo san­no, mini­stro, anche io ci sono sta­ta, l’estero non è l’Eldorado. Spes­so è dif­fi­ci­le inse­rir­si e la buro­cra­zia, sep­pur si trat­ti spes­so di nazio­ni euro­pee, è anco­ra un gran­de osta­co­lo da supe­ra­re. Chi se ne va dall’Italia, però, accet­ta anche di pas­sa­re inte­re gior­na­te die­tro alla buro­cra­zia este­ra per rego­la­riz­za­re resi­den­za, assi­sten­za sani­ta­ria, car­te in rego­la per otte­ne­re una casa, iscri­zio­ni agli uffi­ci di impie­go, anche per anda­re a lava­re i piat­ti di qual­cun altro. Non sono tut­ti gran­di cer­vel­li, ha ragio­ne, ma la tute­la dei lavo­ra­to­ri, geni o medio­cri che sia­no, all’estero non è nega­ta a nessuno.

Jale Far­ro­kh­nia

AIUTACI a scrivere altri articoli come quello che hai appena letto con una donazione e con il 2x1000 nella dichiarazione dei redditi aggiungendo il codice S36 nell'apposito riquadro dedicato ai partiti politici.

Se ancora non la ricevi, puoi registrarti alla nostra newsletter.
Partecipa anche tu!

ISCRIVITI ALLA NEWSLETTER

Congresso 2024: regolamento congressuale

Il con­gres­so 2024 di Pos­si­bi­le si apre oggi 5 apri­le: dif­fon­dia­mo in alle­ga­to il rego­la­men­to con­gres­sua­le ela­bo­ra­to dal Comi­ta­to Organizzativo.

Il salario. Minimo, indispensabile. Una proposta di legge possibile.

Già nel 2018 Pos­si­bi­le ha pre­sen­ta­to una pro­po­sta di leg­ge sul sala­rio mini­mo. In quel­la pro­po­sta, l’introduzione di un sala­rio mini­mo lega­le, che rico­no­sces­se ai mini­mi tabel­la­ri un valo­re lega­le erga omnes quan­do que­sti fos­se­ro al di sopra del­la soglia sta­bi­li­ta, for­ni­va una inno­va­ti­va inter­pre­ta­zio­ne del­lo stru­men­to, sino a quel tem­po bloc­ca­to dal timo­re di ero­de­re pote­re con­trat­tua­le ai sin­da­ca­ti. Il testo del 2018 è sta­to riscrit­to e miglio­ra­to in alcu­ni dispo­si­ti­vi ed è pron­to per diven­ta­re una pro­po­sta di leg­ge di ini­zia­ti­va popolare.

500.000 firme per la cannabis: la politica si è piantata? Noi siamo per piantarla e mobilitarci.

500.000 fir­me per toglie­re risor­se e giro d’affari alle mafie, per garan­ti­re la qua­li­tà e la sicu­rez­za di cosa vie­ne ven­du­to e con­su­ma­to, per met­te­re la paro­la fine a una cri­mi­na­liz­za­zio­ne e a un proi­bi­zio­ni­smo che non han­no por­ta­to a nes­sun risul­ta­to. La can­na­bis non è una que­stio­ne secon­da­ria o risi­bi­le, ma un tema serio che riguar­da milio­ni di italiani.

Possibile per il Referendum sulla Cannabis

La can­na­bis riguar­da 5 milio­ni di con­su­ma­to­ri, secon­do alcu­ni addi­rit­tu­ra 6, mol­ti dei qua­li sono con­su­ma­to­ri di lun­go cor­so che ne fan­no un uso mol­to con­sa­pe­vo­le, non peri­co­lo­so per la società.
Pre­pa­ra­te lo SPID! Sarà una cam­pa­gna bre­vis­si­ma, dif­fi­ci­le, per cui ser­vi­rà tut­to il vostro aiu­to. Ma si può fare. Ed è giu­sto provarci.

Corridoi umanitari per chi fugge dall’Afghanistan, senza perdere tempo o fare propaganda

La prio­ri­tà deve esse­re met­te­re al sicu­ro le per­so­ne e non può esse­re mes­sa in discus­sio­ne da rim­pal­li tra pae­si euro­pei. Il dirit­to d’asilo è un dirit­to che in nes­sun caso può esse­re sot­to­po­sto a “vin­co­li quan­ti­ta­ti­vi”. Ser­vo­no cor­ri­doi uma­ni­ta­ri, e cioè vie d’accesso sicu­re, lega­li, tra­spa­ren­ti attra­ver­so cui eva­cua­re più per­so­ne possibili. 

I padroni dicono di no a tutto. E per questo scioperiamo.

La stra­te­gia del capi­ta­li­smo è quel­la di ato­miz­za­re le riven­di­ca­zio­ni, met­ter­ci gli uni con­tro gli altri, indi­vi­dua­re un nemi­co invi­si­bi­le su cui svia­re l’attenzione, sosti­tui­re la lot­ta col­let­ti­va con tan­te lot­te indi­vi­dua­li che, pro­prio per que­sto, sono più debo­li e più faci­li da met­te­re a tacere.
Ma la gran­de par­te­ci­pa­zio­ne allo scio­pe­ro del 13 dicem­bre dimo­stra che la dimen­sio­ne col­let­ti­va del­la nostra lot­ta, del­le nostre riven­di­ca­zio­ni, non è perduta.