Avevamo presentato un ordine del giorno alla proposta di legge sul lavoro autonomo in discussione alla Camera che riguardava le tutele da estendere ai collaboratori parlamentari. Un Governo come questo che dice di avere tra le sue priorità l’emersione del lavoro nero, o sottopagato, avrebbe dovuto cogliere la palla al balzo e, accogliendolo, rimarcare l‘urgenza di dar seguito a un ordine del giorno approvato nell’agosto 2015 che sottolineava la mancata regolamentazione, in particolare sotto un profilo qualitativo, della figura professionale del collaboratore parlamentare e le distorsioni e le irregolarità di cui è oggetto, rilevate anche dal rapporto 2014 dell’Istituto di ricerche sulla pubblica amministrazione (IRPA).
E’ accaduto invece che l’ordine del giorno è stato respinto dalla maggioranza parlamentare con il concorso esterno dei Cinque stelle che si sono prontamente astenuti. La motivazione è stata che l’ordine del giorno è stato considerato “estraneo alla materia”. Evidentemente introdurre maggiori tutele economiche, contrattuali, previdenziali e assistenziali in favore dei collaboratori parlamentari non è importante. Prendiamo atto del fatto che per questo Parlamento esistono lavoratori autonomi di serie A e lavoratori autonomi di serie B. Parliamo di centinaia di collaboratori per i quali avevamo chiesto al Governo di verificare ogni possibile soluzione, anche normativa, affinché venisse individuato un contratto collettivo conforme alla tipologia dei rapporti di collaborazione con riferimento a quelli tra deputati e collaboratori, per estendere a questi ultimi trattamenti economici e normativi univoci. Perché per questi lavoratori, a dispetto delle apparenze, esiste una giungla contrattuale e retributiva (spesso di sotto retribuzione) assolutamente intollerabile. Questa maggioranza di Governo sta dimostrando di non riuscire a garantire tutele e diritti nemmeno per i lavoratori a loro più vicini. In perfetto stile jobs act.
Giuseppe Civati
Andrea Maestri