Quanto conta la decontribuzione, si domanda il gruppo di studenti di economia alla Bocconi, a LSE e UPF che su lavoce.info si firma come ‘Tortuga’. Con la pubblicazione dell’ultimo report INPS dell’Osservatorio sul Precariato, abbiamo finalmente il quadro completo del 2015 nei termini di attivazioni e cessazioni e trasformazioni di rapporti di lavoro (di lavoratori dipendenti del settore privato e lavoratori degli Enti pubblici economici).
Ebbene, la decontribuzione (ma lo diciamo da tempo su queste colonne!) conta e costa.
Conta, poiché almeno il 60% dei contratti a tempo indeterminato (si fa per dire) attivati nel corso del 2015 usufruisce dell’esonero contributivo ai sensi della Legge di Stabilità n. 190/2014.
Costa, poiché in totale fra nuove attivazioni e trasformazioni di contratti a termine (sia a tempo determinato che di apprendistato) si tratta di 1,4 milioni di rapporti di lavoro esonerati, i quali determinano mancati introiti contributivi per l’INPS (stima di chi scrive) pari a 4,6 miliardi di euro per il solo anno 2015. I medesimi contratti, salvo cessazione, continueranno ad usufruire dell’esonero sia nel 2016 che nel 2017 (e in questo caso per tutti i dodici mesi), per cui l’aggravio sui conti pubblici per il biennio prossimo venturo è pari a circa 20 miliardi.
Saprete certamente che gli sgravi sono stati confermati anche nel 2016, ma con un importo ridotto (tetto massimo fissato a 3250 euro e importo medio dello sconto pari a circa 2600 euro — è sempre una stima dello scrivente, effettuata sulla base della ripartizione per classi di reddito contenuta nei report INPS). Evidentemente questo aspetto non è passato inosservato agli stakeholders e la loro reazione è stata un ricorso in extremis alla formula del contratto a tempo indeterminato per acciuffare l’esonero completo per gli anni a seguire. Il grafico che segue mostra le attivazioni nette mensili di contratti standard (elaborazione propria su dati Sisco, periodo Gen.-Giu. ‘15 — e Dati Uniemens, periodo Apr.-Dic. ‘15).
L’andamento mensile delle attivazioni (al netto delle cessazioni) di contratti a tempo indeterminato si era di fatto appiattito per buona parte dell’anno (spicca il dato negativo di Agosto): i nuovi contratti sono arrivati per una buona parte in conseguenza dell’accesso agli incentivi, limitatamente al periodo Gennaio-Aprile 2015, con l’exploit di Dicembre, frutto dell’adeguamento strategico alla decisione del governo di ridurre il limite dell’esonero contributivo a 3250 euro (contro 8060 euro del 2015). In totale, i nuovi contratti attivati nel 2015 sono circa 186 mila, numero non lontano dalla stima effettuata un anno fa da Raitano-Patriarca, secondi i quali i nuovi posti di lavoro sarebbero stati 200 mila: in pratica, il costo di ogni nuovo posto di lavoro in più è stato di 24 mila euro di incentivi.
Detto ciò, una analisi fatta come si deve dovrebbe:
- quantificare gli effetti in termini occupazionali (primo obiettivo del decisore politico);
- verificare la sufficienza delle coperture previste dal governo (ricorderete il pasticcio del comma 122 della citata Legge n. 190/2014, rivelato da Poletti in una interrogazione parlamentare passata praticamente inosservata alla pubblica opinione);
- valutare la tenuta nel tempo delle attivazioni contrattuali del 2015, onde stimare l’effetto sugli ammortizzatori sociali, nel caso di liquidazione di massa dei contratti al termine della validità dell’esonero, anche in virtù degli effetti delle norme del Jobs Act (maggior flessibilità in uscita).
Sarà nostra premura quella di ricercare gli strumenti necessari a questa analisi, nell’ottica di un processo di disvelamento che è il punto di partenza per formulare una proposta politica.