C’era una volta la legge 407 del 1990, che stabiliva che per le assunzioni a tempo indeterminato di soggetti disoccupati o beneficiari di trattamento di integrazione guadagni da più di 24 mesi, il datore di lavoro avrebbe potuto usufruire di una riduzione del costo Inps del 50%, elevata al 100% per le imprese del mezzogiorno. Il tutto per un periodo pari a 36 mesi.
La legge, quindi, favoriva il reinserimento dei disoccupati nel mondo del lavoro, abbassando il costo per le imprese. E funzionava. Aveva un solo difetto: era “vecchia” e quindi rottamabile.
Così nel 2015 è stata abrogata e sostituita da una nuova forma di agevolazione: la decontribuzione al 100% per 36 mesi per tutte le assunzioni a tempo indeterminato di soggetti privi di un lavoro a tempo indeterminato (e quindi dipendente) da almeno 6 mesi, per una durata di 36 mesi. Una riduzione del costo del lavoro dipendente a tempo indeterminato che, accompagnata dalla soppressione di forme contrattuali autonome come l’associazione in partecipazione e le collaborazioni a progetto, ha favorito il passaggio al lavoro dipendente di lavoratori non autenticamente autonomi.
Si tratta comunque di una agevolazione transitoria, dato che già nel 2016 è passata al 40% per un periodo di 24 mesi, e che scompare definitivamente con la legge di Bilancio 2017.
E così rimane ben poco delle agevolazioni a sostegno delle assunzioni e, in altri termini, delle misure volte a ridurre il costo del lavoro in un momento di difficoltà economica e finanziaria delle nostre imprese, soprattutto medio-piccole.
Dalla decontribuzione si passa ai bonus occupazionali che la finanziaria, approvata proprio in questi giorni, riconosce alle assunzioni di giovani di età compresa tra i 15 e i 29 anni, sia a tempo indeterminato che determinato.
La logica sottesa è però sempre quella: un bonus che incentiva provvisoriamente l’assunzione dei giovani senza una vera prospettiva di lungo periodo. Una misura “tampone”.
Niente, insomma, che abbia a vedere con una vera politica del lavoro, che sappia premiare e incentivare le aziende che decidono di investire sulla “risorsa lavoro”. Niente che “faccia passare il messaggio” che il lavoro è una risorsa sulla quale investire per il miglioramento della nostra economia, per il futuro dei nostri giovani, per la sopravvivenza nel lungo periodo delle nostre imprese, e non un merce usa e getta o in sconto.