Le aziende tra protocolli inadeguati e la corsa al vaccino

È scat­ta­to ormai l’ultimo affan­no­so giro di pista per le impre­se ita­lia­ne, per quel­le che han­no ret­to e sono potu­te rima­ne­re aper­te anche nel dif­fi­ci­lis­si­mo tem­po pan­de­mi­co. Sono rima­ste aper­te spes­so per­ché i loro pro­dot­ti o i loro ser­vi­zi sono sta­ti con­si­de­ra­ti essen­zia­li, come essen­zia­le è sta­ta per loro la pre­sen­za di lavo­ra­tri­ci e lavo­ra­to­ri rego­lar­men­te al pro­prio posto di lavoro.

Duran­te tut­to que­sto perio­do è sta­to un pro­flu­vio di car­ta. I pro­to­col­li anti-Covid adot­ta­ti dal­le azien­de sono deri­van­ti dal model­lo, con­fer­ma­to dal DPCM del 2 mar­zo 2021, appron­ta­to dal gover­no per tute­la­re la sicu­rez­za e la salu­te dei lavo­ra­to­ri. Il testo attua­le risa­le ormai al 14 mar­zo 2020, un anno fa. È il frut­to di un accor­do tra Gover­no, sin­da­ca­ti e impre­se. Ha subi­to solo un’integrazione, il 24 apri­le del­lo stes­so anno. E poi gli aggior­na­men­to del­le ana­li­si dei rischi, l’adozione di misu­re aggiun­ti­ve, le disin­fe­zio­ni straor­di­na­rie (inden­niz­za­te dal gover­no, ovviamente).

Cer­ta­men­te, sen­za quell’accordo, sen­za le misu­re adot­ta­te, le cose sareb­be­ro anda­te peg­gio. Ma è tra­scor­so un anno da allo­ra e nes­su­no ha più mes­so in discus­sio­ne quel testo. Nes­su­no ha fat­to ana­li­si serie sull’efficacia dei pro­to­col­li adot­ta­ti nel­la pre­ven­zio­ne del con­ta­gio. Nes­su­no, men che meno il gover­no o i Mini­stri (ben due) del Lavoro.

Le rego­le con­te­nu­te sono note. Si pas­sa dall’obbligo di infor­ma­zio­ne sul­le dispo­si­zio­ni del­le Auto­ri­tà a cari­co del­le azien­de, che devo­no indi­vi­dua­re i mez­zi più ido­nei per far­lo, alla rego­la­men­ta­zio­ne dell’accesso al luo­go di lavo­ro, con la pos­si­bi­li­tà che le lavo­ra­tri­ci e i lavo­ra­to­ri ven­ga­no sot­to­po­sti alla misu­ra­zio­ne del­la tem­pe­ra­tu­ra cor­po­rea. Sono sta­ti anche rego­la­men­ta­ti gli ingres­si dei for­ni­to­ri e sog­get­ti ester­ni, in modo da ave­re meno con­tat­ti pos­si­bi­le con i dipen­den­ti dell’azienda.

Cosa sareb­be acca­du­to sen­za la rego­la­re puli­zia gior­na­lie­ra e la sani­fi­ca­zio­ne perio­di­ca dei loca­li, degli ambien­ti, del­le posta­zio­ni di lavo­ro e del­le aree comu­ni e di sva­go? Quan­te altre miglia­ia di con­ta­gia­ti avrem­mo avu­to? Voglia­mo cre­de­re che i pia­ni di tute­la dal con­ta­gio sia­no sta­ti man­te­nu­ti nel tem­po, sia­no sta­ti ogget­to di riva­lu­ta­zio­ni inter­ne, maga­ri per esse­re migliorati.

Voglia­mo dav­ve­ro credere.

Da un cer­to pun­to in poi (ma era sicu­ra­men­te tar­di), l’uso del­la masche­ri­na è diven­ta­to un obbli­go, anche quan­do la distan­za inter­per­so­na­le di un metro pote­va esse­re garantita.

Ma su un pun­to il siste­ma non ha ret­to. Non ha ret­to per la sem­pli­ce ragio­ne che si è sta­bi­li­to il pre­sup­po­sto per non appli­ca­re un effet­ti­vo trac­cia­men­to dei con­ta­gi in azien­da. Tut­to è lega­to alla defi­ni­zio­ne di con­tat­to stret­to, ade­gua­ta­men­te emendata.

Il “caso sin­to­ma­ti­co in azien­da” è limi­ta­to alla fat­ti­spe­cie di un lavo­ra­to­re che pre­sen­ti i sin­to­mi duran­te il tem­po di lavo­ro: in quel caso deve imme­dia­ta­men­te avver­ti­re l’ufficio del per­so­na­le. L’azienda deve con­tat­ta­re l’autorità sani­ta­ria e col­la­bo­ra­re con essa per la defi­ni­zio­ne degli even­tua­li con­tat­ti stret­ti. Con­tat­ti stret­ti, però, che come si è visto, risul­ta­no esse­re a que­sto pun­to rari: dovreb­be­ro esse­re sog­get­ti che lavo­ra­no a stret­to con­tat­to con l’eventuale posi­ti­vo, sen­za distan­za di sicu­rez­za, per un perio­do che va oltre i 15 minu­ti di con­tat­to e sen­za dispo­si­ti­vi di pro­te­zio­ne. È una situa­zio­ne che dif­fi­cil­men­te si può veri­fi­ca­re. E soprat­tut­to, che dif­fi­cil­men­te vie­ne dichia­ra­ta dagli stes­si lavoratori.

I con­ta­gi sul lavo­ro da Covid-19 denun­cia­ti all’Inail alla data del 31 gen­na­io 2021 sono 147.875, pari a cir­ca un quar­to del­le denun­ce com­ples­si­ve di infor­tu­nio per­ve­nu­te dall’inizio del 2020 e al 5,8% dei con­ta­gia­ti nazio­na­li tota­li comu­ni­ca­ti dall’Istituto supe­rio­re di sani­tà (Iss) alla fine di gen­na­io. Tol­te le pro­fes­sio­ni cor­re­la­te al siste­ma sani­ta­rio e assi­sten­zia­le, che val­go­no qua­si l’80% del­le denun­ce, la restan­te par­te ha riguar­da­to impie­ga­ti ammi­ni­stra­ti­vi, addet­ti ai ser­vi­zi di puli­zia, con­dut­to­ri di vei­co­li. Gli altri set­to­ri sono pra­ti­ca­men­te assenti.

È evi­den­te che è sta­to fat­to di tut­to per tute­la­re la pro­du­zio­ne ed evi­ta­re che le azien­de si ritro­vas­se­ro a chiu­de­re i bat­ten­ti, con inte­ri repar­ti in qua­ran­te­na, se non con tut­to il per­so­na­le. Quel­lo che ci si chie­de, però, è se que­sto sia sta­to suf­fi­cien­te a tute­la­re anche la salu­te del­le lavo­ra­tri­ci e dei lavo­ra­to­ri, se a cau­sa del man­ca­to trac­cia­men­to appro­fon­di­to non si sia cor­so un rischio trop­po ele­va­to. Non voglia­mo cre­de­re che vi sia­no sta­te pres­sio­ni da par­te del­le azien­de nei con­fron­ti del­le lavo­ra­tri­ci o dei lavo­ra­to­ri per indur­li a non dichia­rar­si a con­tat­to stret­to. Se que­sto doves­se esse­re acca­du­to, maga­ri nei set­to­ri dove i lavo­ra­to­ri sono già scar­sa­men­te tute­la­ti, sareb­be quan­to­me­no depre­ca­bi­le, e ciò dovreb­be indur­ci a rifles­sio­ni mol­to serie sull’etica del fare impre­sa oggi in Italia.

Ora la cor­sa al vac­ci­no. Le azien­de sono pron­te. Si stan­no dispo­nen­do sui bloc­chi di par­ten­za. Alcu­ne sareb­be­ro già partite.

Set­te­mi­la impre­se, tra asso­cia­te a Con­fin­du­stria e non, han­no dato la dispo­ni­bi­li­tà a uti­liz­za­re i pro­pri loca­li per vac­ci­na­zio­ni che coin­vol­ga­no anche non dipen­den­ti. Sono soprat­tut­to i gran­di grup­pi a esser­si mos­si. La stra­gran­de mag­gio­ran­za è del Nord (75%), segui­te da quel­le del Cen­tro (13%) e del Sud (12%). Le Regio­ni si stan­no ado­pe­ran­do per tro­va­re un accor­do sui pro­to­col­li. A ini­zio mar­zo, la Lom­bar­dia ha sigla­to un pat­to sen­za i sin­da­ca­ti, il Friu­li-Vene­zia Giu­lia ha tro­va­to un accor­do con la Mini­stra per gli Affa­ri Regio­na­li Maria Stel­la Gel­mi­ni, la Con­fin­du­stria regio­na­le e i sin­da­ca­ti. Il Vene­to ha fat­to una deli­be­ra di giun­ta in mate­ria. Altre regio­ni come le Mar­che, la Puglia, il Tren­ti­no, l’Emilia Roma­gna, si mostra­no più attendiste.

In ogni caso, le visio­ni, come sem­pre, sono diver­se. Ogni regio­ne fa per sé, ogni cate­go­ria trat­ta per pro­prio con­to. Un mon­do di fat­to di cor­po­ra­zio­ni medioe­va­li, vol­te alla tute­la del pro­prio inte­res­se, pri­ma di quel­lo generale.

Bono­mi, pre­si­den­te di Con­fin­du­stria, vor­reb­be una vac­ci­na­zio­ne di comu­ni­tà, che coin­vol­ga anche i fami­glia­ri dei dipen­den­ti, arri­van­do così a un nume­ro di 12 milio­ni di vac­ci­na­ti tra dipen­den­ti e fami­glia­ri. Il pre­si­den­te di Con­fa­pi, Casa­sco, opte­reb­be inve­ce per una bol­la azien­da­le, che tute­li sola­men­te i dipen­den­ti dell’azienda. In que­sto caso se ne occu­pe­reb­be il medi­co com­pe­ten­te. Nel caso in cui l’azienda non dispo­nes­se di loca­li adat­ti alla vac­ci­na­zio­ne, sareb­be l’associazione di cate­go­ria ter­ri­to­ria­le a dover tro­va­re gli spa­zi ido­nei. Come ulti­ma solu­zio­ne, potreb­be­ro esse­re uti­liz­za­ti gli spa­zi ester­ni all’azienda, even­tual­men­te mes­si a dispo­si­zio­ne anche per la vac­ci­na­zio­ne per gli esterni.

Inve­ce Figliuo­lo, neo Com­mis­sa­rio straor­di­na­rio per l’emergenza Covid19, vor­reb­be che le azien­de diven­tas­se­ro dei pun­ti vac­ci­na­li veri e pro­pri, aper­ti a tut­ti. Non ver­reb­be data prio­ri­tà ai dipen­den­ti in quan­to tali: rien­tre­reb­be­ro nel­lo sche­ma nazio­na­le, che pre­ve­de, come sap­pia­mo, che abbia­no la pre­ce­den­za i sog­get­ti più fra­gi­li, per pro­se­gui­re in ordi­ne di età decrescente.

La linea del Com­mis­sa­rio può esse­re con­di­vi­si­bi­le: la tute­la dei più fra­gi­li è fuo­ri discus­sio­ne. Tut­ta­via, di fron­te a una cam­pa­gna vac­ci­na­le zop­pi­can­te che spo­sta l’orizzonte dell’immunità di greg­ge sem­pre più lon­ta­no, non sareb­be for­se arri­va­to il momen­to di fare una rifles­sio­ne su que­sto guaz­za­bu­glio di inte­res­si pri­va­ti e divergenti?

In rela­zio­ne alla vac­ci­na­zio­ne, ci sono anco­ra due que­stio­ni che ten­go­no ban­co e che richie­do­no neces­sa­ria­men­te una soluzione.

In pri­mo luo­go, quel­la del licen­zia­men­to nel caso in cui un dipen­den­te deci­da di non vac­ci­nar­si. Se nel set­to­re sani­ta­rio potreb­be esse­re indi­vi­dua­ta una via di fuga, nel momen­to in cui il dipen­den­te potreb­be even­tual­men­te esse­re licen­zia­to per avve­nu­ta ini­do­nei­tà alla man­sio­ne, visto che espor­reb­be il pazien­te al rischio, più o meno aggra­va­to, di esse­re infet­ta­to, in tut­ti gli altri set­to­ri la situa­zio­ne è più complicata.

Innan­zi­tut­to, non esi­ste un obbli­go vac­ci­na­le e l’art. 32 del­la Costi­tu­zio­ne reci­ta chia­ra­men­te che “nes­su­no può esse­re obbli­ga­to a un deter­mi­na­to trat­ta­men­to sani­ta­rio se non per dispo­si­zio­ne di leg­ge”. In più, non trat­tan­do­si di set­to­ri sani­ta­ri, non vi è il rischio per il pazien­te descrit­to pri­ma. Quand’anche si con­fi­gu­ras­se una ini­do­nei­tà alla man­sio­ne, è com­pi­to del dato­re di lavo­ro cam­bia­re il tipo di man­sio­ne del dipen­den­te per assi­cu­rar­gli il posto di lavo­ro. In assen­za quin­di di una leg­ge che dispon­ga l’obbligatorietà del vac­ci­no, il pro­ble­ma rimar­rà sostan­zial­men­te irrisolto.

La stra­da è anco­ra lun­ga e la col­la­bo­ra­zio­ne tra i vari sog­get­ti non sem­bra esse­re decollata.

Car­lo Pignatta

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