Da ilmanifesto.info.
Il premier ha dichiarato che se vince il SI sono a rischio 11.000 posti di lavoro. Guardiamo i numeri: Assomineraria parla di 13mila occupati nel settore estrattivo in tutta Italia (tra attività a terra e a mare, dentro e fuori le dodici miglia) e 5mila posti di lavoro a rischio con il referendum. Il ministro Galletti fa riferimento alla cifra di 10mila posti di lavoro in meno e la Filctem Cgil sostiene che i lavoratori che rimarrebbero a casa sono 10mila solo a Ravenna e in Sicilia.
Le stime ufficiali riguardanti l’intero settore di estrazione di petrolio e gas in Italia (fonte Isfol) parlano invece di 9mila impiegati in tutta Italia e di un settore già in crisi da tempo. Chi paventa la perdita di posti di lavoro per colpa del referendum non dice che il settore dell’estrazione di gas e petrolio è già in crisi nel mondo e in Italia da diversi anni. A dimostrarlo i rapporti del settore degli ultimi anni o il tavolo di crisi aperto presso la regione Emilia Romagna.
Il 35% delle compagnie petrolifere a causa del crollo del prezzo del petrolio è ad alto rischio di fallimento nel 2016 (rapporto Deloitte), con un debito accumulato di 150 miliardi di dollari. Nessuno si preoccupa di dire che per garantire un futuro occupazionale duraturo bisogna investire in innovazione industriale e in una nuova politica energetica. Negli ultimi decenni si è avuta una consistente diminuzione della produzione da piattaforme in mare senza alcuna strategicità energetica, economica ed occupazionale.
Al contrario il settore delle rinnovabili e dell’efficienza potrebbero generare almeno 600mila posti di lavoro. Centomila al 2030 nel solo settore delle energie rinnovabili, cioè circa il triplo di quanto occupa oggi Fiat Auto in Italia, mentre, al contrario, nel 2015, per un taglio retroattivo degli incentivi, se ne sono persi circa 4mila nel solo settore dell’eolico, 10mila in tutto il settore. A tal proposito ci chiediamo dove fosse il sindacato allora e che senso abbia un sindacato oggi che non ha la capacità di proporre un nuovo lavoro e di capire che la difesa dello status quo è innanzitutto difesa delle lobby del petrolio.
Fino al 31 dicembre 2015 le concessioni avevano durata massima di 30 anni, con un vincolo temporale come qualsiasi altra forma contrattuale. Questo è quanto il referendum del 17 Aprile intende ripristinare, pertanto risulta incomprensibile che una vittoria del SI possa causare la perdita anche di un solo posto di lavoro. Nel nostro Paese, al contrario, ci sarebbero tanti nuovi posti di lavoro se solo il governo decidesse, facendo fede agli impegni presi a Parigi con la Cop21, di puntare sulla produzione di energia pulita.