di Emanuele Busconi
Queste parole animano la protesta che coinvolge sempre più studenti e studentesse della Columbia University che si stanno rifiutando di pagare le tasse universitarie.
La richiesta è molto semplice: a fronte di una forte limitazione dei servizi offerti dall’università, a partire da una didattica sempre meno accessibile, viene chiesta una riduzione dei costi a carico di studenti e studentesse del 10%.
Si tratta di una battaglia che accomuna gran parte della popolazione studentesca e supera persino le enormi differenze di accesso agli studi universitari che distinguono i percorsi di istruzione degli Stati Uniti da quelli dei paesi europei e, nello specifico, dal sistema di istruzione italiano. La pandemia e le misure restrittive hanno colpito tutto il mondo e l’impatto sulle scuole e le università è stato molto forte. Lo dimostrano i dati sul bisogno di assistenza psicologica, così come la necessità – raramente soddisfatta – di introdurre politiche in grado di ripristinare l’effettività del diritto allo studio.
La battaglia per la riduzione delle tasse universitarie è ormai una battaglia che prosegue anno dopo anno in molte città, a dimostrazione del fatto che il problema degli alti costi delle carriere universitarie esisteva già prima della pandemia. Queste proteste, pur non trovando quasi nessuno spazio nel dibattito politico, sono continuate anche dopo lo scoppio dell’epidemia e hanno unito ancora di più la popolazione studentesca.
Le università, nella maggior parte dei casi, hanno cercato di limitare i danni della pandemia, ma questo ha significato limitare tutti i servizi e, di conseguenza, gli strumenti che permettevano di garantire il diritto allo studio. A partire dalla didattica, quasi esclusivamente a distanza, con evidenti limiti, passando dalla chiusura della maggior parte di spazi come le aule studio, che garantivano postazioni per lo studio adeguate e con connessione internet, fino ad arrivare alle criticità che rendono sempre più arduo sostenere gli esami, tra controlli che violano la privacy e problemi di connessione che costringono tanti e tante a dover ripetere le prove anche per più appelli.
Tutti questi problemi, associati alle difficoltà dovute alla pandemia che non hanno risparmiato la vita di studenti e studentesse, non possono essere sottovalutati, come non possono essere trascurati i bisogni di tutte quelle persone che, proprio a causa della situazione complessa, non riescono più sostenere spese così alte per lo studio universitario. Dimenticare queste esigenze significherebbe far aumentare ancora di più la dispersione universitaria (i cui dati in Italia erano già allarmanti).
Occorre dare ascolto alle voci della popolazione studentesca che sempre di più si stanno sollevando in diverse città del mondo. Le proteste mettono in luce problemi seri, non rimandabili.
La politica non può fare finta di niente.