Le cotolette alla plastica collegano giustizia ambientale e giustizia sociale

Ieri sera il Cor­rie­re ha dif­fu­so una noti­zia inquie­tan­te, ma che pro­ba­bil­men­te non si farà lar­go tra i tito­li di aper­tu­ra dei Tg nazionali.

Il mini­ste­ro del­la Salu­te ha annun­cia­to il riti­ro dai super­mer­ca­ti di due lot­ti di una cele­ber­ri­ma mar­ca di pro­dot­ti avi­co­li. Uno dei qua­li è for­se il suo pro­dot­to di pun­ta, una coto­let­ta pana­ta di pol­lo e spi­na­ci, una di quel­le cose la mag­gior par­te di noi ha man­gia­to alme­no una vol­ta in vita propria.

Il moti­vo del riti­ro è alquan­to distur­ban­te: nei lot­ti in que­stio­ne, sareb­be­ro pre­sen­ti trac­ce di pla­sti­ca. Sì sì, le coto­let­te con­ter­reb­be­ro trac­ce di pla­sti­ca.

Alcu­ni di noi, riflet­ten­do su que­sto fat­to, sta­ran­no pro­ba­bil­men­te ragio­nan­do su come la pla­sti­ca sia ormai un onni­pre­sen­te fat­to­re di inqui­na­men­to e di avve­le­na­men­to del nostro pia­ne­ta, tan­to da fini­re diret­ta­men­te sul­le nostre tavo­le non più solo tra gli uten­si­li, ma anche nel­le pie­tan­ze. Altri sta­ran­no pro­ba­bil­men­te facen­do con­si­de­ra­zio­ni sui pro­dot­ti del­la famo­sa mar­ca di cui sopra, che cer­to non rap­pre­sen­ta­no uno stan­dard alto né per come trat­ta­no gli ani­ma­li, né per la qua­li­tà del risul­ta­to del­la loro lavorazione.

Lo spun­to di rifles­sio­ne che ne vor­rei trar­re, però, riguar­da un qua­dro più ampio. Pro­via­mo tut­ti a fare un pas­so indie­tro, pro­via­mo a con­si­de­ra­re entram­be le que­stio­ni che ho banal­men­te rias­sun­to qui sopra.

Appa­re evi­den­te la que­stio­ne ambien­ta­le: l’ubiquità dei rifiu­ti pla­sti­ci, dal­le fami­ge­ra­te iso­le nei nostri mari, agli sto­ma­ci di cen­ti­na­ia di spe­cie ani­ma­li, all’aria che respi­ria­mo, all’acqua che bevia­mo, ora (ma for­se non solo ora) al cibo che man­gia­mo. E anco­ra la que­stio­ne dell’indu­stria agroa­li­men­ta­re, degli scar­si stan­dard di igie­ne, di con­trol­lo, di qua­li­tà, per non par­la­re del benes­se­re ani­ma­le e del modo in cui gli ani­ma­li di cui ci nutria­mo ven­go­no alle­va­ti e macel­la­ti, pri­ma anco­ra che lavorati.

Assie­me a tut­to que­sto, però, è a mio avvi­so mio­pe non vede­re una gigan­te­sca que­stio­ne socia­le, la tota­le disu­gua­glian­za che si nascon­de die­tro al para­ven­to del nostro sistema.

Qual è il tar­get di un pro­dot­to come quel­le coto­let­te pana­te e pre­cot­te, fat­te di un tri­to di par­ti di pol­lo di secon­da o ter­za cate­go­ria, assie­me a degli spi­na­ci che di cer­to non era­no del­le pri­mi­zie, in ori­gi­ne? Non è dif­fi­ci­le imma­gi­na­re dove andrà a fini­re un pro­dot­to del gene­re. Par­te già da un prez­zo mol­to bas­so e che se ci fate caso è qua­si sem­pre ulte­rior­men­te scon­ta­to nel­la mag­gior par­te degli hard discount, quin­di è deci­sa­men­te appe­ti­bi­le per chi ha pochi sol­di da dedi­ca­re alla pro­pria spe­sa. Gene­ral­men­te pia­ce ai bam­bi­ni, e ci offre l’illusione di for­ni­re loro car­ne bian­ca e ver­du­re allo stes­so tem­po, il tut­to a un prez­zo con­te­nu­tis­si­mo (si può arri­va­re a man­giar­ne in quat­tro o cin­que per pochi euro). Le sue con­fe­zio­ni occu­pa­no pochis­si­mo spa­zio, a chi è capi­ta­to di vive­re in pic­co­li o pic­co­lis­si­mi appar­ta­men­ti, di quel­li in cui c’è spa­zio solo per un mez­zo fri­go, sa che cosa vuol dire la que­stio­ne del­lo spa­zio, spe­cie se non si ha la pos­si­bi­li­tà di fare la spe­sa tut­ti i gior­ni. E non se ne ha la pos­si­bi­li­tà è per­ché maga­ri si lavo­ra mol­to, con ora­ri impro­ba­bi­li, tut­ti i gior­ni o qua­si, e quin­di scat­ta l’ulteriore van­tag­gio di que­sto tipo di cibi, che richie­do­no pochis­si­mo tem­po e pochis­si­ma atten­zio­ne per esse­re cuci­na­ti e ser­vi­ti.

Maga­ri sono le stes­se per­so­ne che lavo­ra­no a stret­to con­tat­to con quel tipo di lavo­ra­zio­ni di cui dice­va­mo poco più su, e la ter­za doman­da che dovrem­mo por­ci è che raz­za di con­di­zio­ni di lavo­ro ci sono in una fab­bri­ca per la lavo­ra­zio­ne ali­men­ta­re dove la pla­sti­ca fini­sce mischia­ta con il cibo?

Ecco, il pun­to è che la pla­sti­ca nel cibo di que­sto tipo dovreb­be far­ci riflet­te­re su come le ingiu­sti­zie ambien­ta­li sia­no lega­te a dop­pio filo a quel­le socia­li ed eco­no­mi­che.

Le pri­me per­so­ne ad esser­ne col­pi­te sono pro­prio le più vul­ne­ra­bi­li, le più espo­ste. Atten­zio­ne a chi vi dice che la que­stio­ne ambien­ta­le è eli­ta­ria, distan­te dai biso­gni e dai pro­ble­mi del­la gen­te. Atten­zio­ne a chi vi dice che dove­te sce­glie­re qua­le risol­ve­re pri­ma tra i pro­ble­mi di ambien­te, salu­te e lavo­ro. O li si affron­ta insie­me, o non lo si farà mai dav­ve­ro. E saran­no sem­pre i più svan­tag­gia­ti a subir­ne per pri­mi e più dura­men­te le con­se­guen­ze.

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