L’ultimo match in ordine di tempo, e tale solo fino al prossimo, è andato in scena domenica: Gianni Cuperlo vs Dario Franceschini. No, non ho sbagliato il verbo; “in scena” descrive bene quello è successo. Perché sì, minoranza e maggioranza dem se le danno di santa ragione, non c’è che dire, ma non come nella boxe, dove i colpi sono veri, diciamo più come nel wrestling, in cui da attacchi sferrati con apparente inaudita violenza non discende alcuna conseguenza.
Prendiamo a modello il caso più recente. Il ministro della cultura dice che usare le riforme costituzionali per «buttare giù Renzi», come sostiene stia facendo la sinistra interna, è «un atto contro il Paese». L’ex presidente del Pd replica affermando che quelle parole sono «l’espressione imbarazzante di una profonda disonestà politica e intellettuale». Ora, se uno si fermasse a quanto detto, stenterebbe a credere che dopo simili colpi, fuor di metafora e sul piano politico, si possa ancora esser parte della stessa formazione. Cioè, è sui voti di quelli che addirittura compiono atti «contro il Paese» che Franceschini confida per la tenuta del governo di cui fa parte? E ancora, è a un esecutivo composto da esponenti di primo piano capaci di «profonda disonestà politica e intellettuale» che Cuperlo vota la fiducia?
Sinceramente, sapere quale sia lo sport, si fa per dire, a cui quelli del partito di maggioranza intendano darsi suscita in me tanto interesse che poco più è noia. Se non per quel piccolo particolare che, appunto, sono il partito di maggioranza, e a loro è in sorte fare le leggi e decidere le strade da seguire; sapere questa facoltà nella disposizione dei fanatici del colpo teso al posizionamento, dell’uso congressuale del referendum costituzionale o delle elezioni quirinalizie (ché quello fecero i centouno, giusto?), della ritorsione correntizia, non è proprio rassicurante.
Con altri, ormai più di un anno fa, abbiamo deciso di andarcene anche per quello; perché della peculiare responsabilità che vediamo in questi gesti di quanti chiamavano noi “irresponsabili” ne avevamo abbastanza. Fuori da lì c’è il mondo vero, quello che è un po’ stanco, per usare il più blando degli eufemismi, della pièce portata sul palcoscenico da chi dovrebbe, per mandato, pensare all’interesse generale. Ed è con quello che vogliamo confrontarci, sapendo che non sarà facile e agevole il cammino, ma pure con la consapevolezza che, per costruire qualcosa di nuovo, non esistono scorciatoie.