Le donne e il mercato del lavoro: mind the gap!

donne e lavoroC’è una mano­vra che potreb­be por­ta­re il nostro pae­se fuo­ri dal­la palu­de: è la mano­vra che apra il mer­ca­to del lavo­ro ad una pie­na par­te­ci­pa­zio­ne fem­mi­ni­le. L’aumento dell’occupazione fem­mi­ni­le non è tra i temi del­la leg­ge di sta­bi­li­tà e nep­pu­re nell’agenda del­le lar­ghe inte­se al 2015. Occu­pa inve­ce un posto impor­tan­te nel docu­men­to con­gres­sua­le di Giu­sep­pe Civati.

È ormai rico­no­sciu­to che ridur­re o col­ma­re il gap di gene­re nel­la par­te­ci­pa­zio­ne al mer­ca­to del lavo­ro sia uno dei moto­ri del­la cre­sci­ta eco­no­mi­ca di un pae­se, e que­sto moto­re è più poten­te in quei pae­si dove il gap è più ampio, come in Italia.

Uno stu­dio OCSE del 2012 ha sti­ma­to che una ridu­zio­ne del gap di occu­pa­zio­ne fem­mi­ni­le fino al suo com­ple­to annul­la­men­to nel 2030 pos­sa com­por­ta­re per l’Italia un mag­gior tas­so di cre­sci­ta annua­le del PIL pro-capi­te del 1% e un incre­men­to del PIL del 20%.

Si trat­ta di effet­ti mol­to gran­di che non pos­so­no lascia­re indif­fe­ren­ti in un momen­to nel qua­le la cre­sci­ta sten­ta a ripar­ti­re e spes­so si discu­te di pro­spet­ti­ve di cre­sci­ta di fra­zio­ni di qual­che pun­to per­cen­tua­le. E va ricor­da­to che l’Italia è il ter­zul­ti­mo pae­se OCSE per livel­lo di par­te­ci­pa­zio­ne fem­mi­ni­le nel mer­ca­to del lavo­ro: 51% con­tro una media OCSE del 65%.

Ma dove biso­gna inter­ve­ni­re? Sicu­ra­men­te da noi c’è un pro­ble­ma di costu­me, tra­di­zio­ne e men­ta­li­tà che è rima­sto più anco­ra­to al pas­sa­to che in altri pae­si, ma un cor­ret­to indi­riz­zo di poli­ti­ca eco­no­mi­ca e fisca­le può aiu­ta­re ad acce­le­ra­re il cam­bia­men­to e a favo­ri­re nuo­vi mec­ca­ni­smi di scel­ta all’interno del­le famiglie.

Il pun­to prin­ci­pa­le è che anco­ra oggi a tut­te noi madri è richie­sto di esse­re “pre­sta­tri­ci di tem­po di ulti­ma istan­za” e, se il mio lavo­ro in ambi­to uni­ver­si­ta­rio mi per­met­te una cer­ta fles­si­bi­li­tà, lo stes­so non è sta­to per la mia ami­ca Fran­ce­sca che dopo il secon­do figlio ha dovu­to lascia­re il suo lavo­ro nel mar­ke­ting di una mul­ti­na­zio­na­le, diven­ta­to incon­ci­lia­bi­le con la vita fami­lia­re. Mi sono chie­sta spes­so che sen­so potes­se ave­re un tale spre­co di capi­ta­le uma­no, e come potes­se pro­spe­ra­re un pae­se che non vive il sus­se­guir­si di que­ste vicen­de come un fallimento.

Dal pun­to di vista di un pos­si­bi­le inter­ven­to gover­na­ti­vo, è sta­to dimo­stra­to che aumen­ta­re il livel­lo di edu­ca­zio­ne del­le don­ne (e quin­di il loro capi­ta­le uma­no) ne favo­ri­sce la par­te­ci­pa­zio­ne al mer­ca­to del lavo­ro. Ma su que­sto l’Italia ha già rag­giun­to risul­ta­ti impor­tan­ti in quan­to nel 2010 il 59% dei lau­rea­ti era­no don­ne. Tale per­cen­tua­le scen­de però al 15% tra i lau­rea­ti in scien­ze infor­ma­ti­che e al 33% tra i lau­rea­ti in inge­gne­ria: una pri­ma indi­ca­zio­ne sareb­be quin­di di inco­rag­gia­re l’interesse del­le ragaz­ze nel­le mate­rie scien­ti­fi­che per­ché sono spe­cia­liz­za­zio­ni che offro­no buo­ne oppor­tu­ni­tà di lavoro.

L’evidenza empi­ri­ca dimo­stra che esi­sto­no misu­re in gra­do di aiu­ta­re a miglio­ra­re il tas­so di atti­vi­tà fem­mi­ni­le. Tra que­ste in pri­mis c’è la detas­sa­zio­ne del lavo­ro fem­mi­ni­le per chi deci­de di assu­me­re don­ne (per con­tro­bi­lan­cia­re una gene­ra­le pre­fe­ren­za ver­so il lavo­ra­to­re maschi­le) ma anche una qual­che for­ma di tas­sa­zio­ne dei red­di­ti da lavo­ro lega­ta al gene­re. È infat­ti dimo­stra­to che l’offerta di lavo­ro del­le don­ne è mol­to più sen­si­bi­le alle varia­zio­ni del sala­rio net­to di quel­la maschi­le. Inol­tre un mag­gior sala­rio net­to aumen­te­reb­be il pote­re con­trat­tua­le di una don­na quan­do all’interno di una fami­glia si deci­de come deb­ba­no esse­re allo­ca­te le ener­gie pro­dut­ti­ve (in casa o fuo­ri casa).

In secon­do luo­go la par­te­ci­pa­zio­ne del­le don­ne al mer­ca­to del lavo­ro può esse­re favo­ri­ta da ora­ri di lavo­ro fles­si­bi­li e altre moda­li­tà di lavo­ro qua­li tele-com­mu­ting e part-time ver­ti­ca­le. Que­sta dire­zio­ne non è esen­te da cri­ti­che in quan­to è pos­si­bi­le che il mer­ca­to del lavo­ro si seg­men­ti mag­gior­men­te rele­gan­do le don­ne in lavo­ri part-time che non offro­no pos­si­bi­li­tà di car­rie­ra e pro­gres­sio­ne e che sono comun­que meno tutelati.
Una stra­da alter­na­ti­va, che ha il van­tag­gio di esse­re neu­tra­le rispet­to alle tipo­lo­gie di lavo­ro fem­mi­ni­le, è quel­la dei sus­si­di per la cura dei bam­bi­ni, sia in for­ma di vou­chers per paga­re gli asi­li nido sia in ter­mi­ni di for­ni­tu­ra diret­ta di posti nido (nel docu­men­to con­gres­sua­le di Civati)

C’è inol­tre evi­den­za empi­ri­ca che i pae­si in cui la pra­ti­ca del con­ge­do di pater­ni­tà è affer­ma­ta ci sia una mag­gior par­te­ci­pa­zio­ne fem­mi­ni­le al mer­ca­to del lavo­ro, quin­di i timi­di pri­mi pas­si in que­sta dire­zio­ne fat­ti in Ita­lia sem­bra­no esse­re un segna­le posi­ti­vo che var­reb­be la pena incrementare.
Que­sti inter­ven­ti di poli­ti­ca eco­no­mi­ca han­no un costo, ma alla loro coper­tu­ra potreb­be­ro con­tri­bui­re il mag­gior red­di­to tas­sa­bi­le crea­to dal­le don­ne che lavo­ra­no e il cre­scen­te acqui­sto sul mer­ca­to di ser­vi­zi alla fami­glia. Io ne sono un esem­pio per­fet­to: il mio sti­pen­dio è tas­sa­to e retri­bui­sco anche chi mi aiu­ta nel­le man­sio­ni domestiche.

Il sen­so di que­ste pro­po­ste non è quel­lo di pena­liz­za­re le don­ne che scel­go­no di dedi­ca­re le loro ener­gie pro­dut­ti­ve all’in­ter­no del­le mura dome­sti­che, ma rite­nia­mo che sia inte­res­se col­let­ti­vo met­te­re in con­di­zio­ne di lavo­ra­re tut­te le don­ne che desi­de­ri­no far­lo.

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