«Le donne stanno parlando oggi perché, in questa nuova era, finalmente possiamo farlo»: la testimonianza di Salma Hayek per il NY Times

Salma Hayek ha scritto al New York Times la propria esperienza con Weinstein ma la sua lettera non è solo l'ennesima denuncia su un sistema da scardinare (in tutti i settori, in tutti i Paesi) ma soprattutto è la risposta a molte delle domande strumentali

[vc_row][vc_column][vc_column_text]Sal­ma Hayek ha scrit­to al New York Times la pro­pria espe­rien­za con Wein­stein ma la sua let­te­ra non è solo l’en­ne­si­ma denun­cia su un siste­ma da scar­di­na­re (in tut­ti i set­to­ri, in tut­ti i Pae­si) ma soprat­tut­to è la rispo­sta a mol­te del­le doman­de stru­men­ta­li che in que­ste set­ti­ma­ne abbia­mo dovu­to leg­ge­re sul­la stam­pa ita­lia­na. Per que­sto la ripor­tia­mo integralmente:

HARVEY WEINSTEIN era un appas­sio­na­to cine­fi­lo, un uomo capa­ce di assu­mer­si dei rischi, un mece­na­te di talen­ti cine­ma­to­gra­fi­ci, un padre amo­re­vo­le e un mostro.

Per anni, è sta­to il mio mostro.

Que­sto autun­no, sono sta­ta avvi­ci­na­ta da dei gior­na­li­sti, attra­ver­so diver­si cana­li, com­pre­sa la mia cara ami­ca Ashley Judd, per­ché rac­con­tas­si un epi­so­dio del­la mia vita che, ben­ché sia sta­to dolo­ro­so, pen­sa­vo di aver supe­ra­to. Mi ero fat­ta da sola il lavag­gio del cer­vel­lo al pun­to di con­vin­cer­mi che fos­se pas­sa­ta e che fos­si soprav­vis­su­ta; ho sfug­gi­to la respon­sa­bi­li­tà di par­lar­ne con la scu­sa che c’erano già abba­stan­za per­so­ne inten­te a get­ta­re luce sul mio mostro. Non pen­sa­vo che la mia voce fos­se impor­tan­te, né che avreb­be fat­to qual­che differenza.

In real­tà, quel­lo che sta­vo facen­do era cer­ca­re di rispar­miar­mi la sfi­da di spie­ga­re alcu­ne cose ai miei cari: per­ché, quan­do ho occa­sio­nal­men­te det­to di esse­re sta­ta bul­liz­za­ta, come mol­ti altri, da Har­vey, ho omes­so alcu­ni det­ta­gli. E per­ché, per così tan­ti anni, sia­mo sta­ti in buo­ni rap­por­ti con un uomo che mi ave­va feri­ta così pro­fon­da­men­te. Ero sta­ta orgo­glio­sa del­la mia capa­ci­tà di per­do­na­re, ma il sem­pli­ce fat­to che mi ver­go­gnas­si di descri­ve­re i det­ta­gli di ciò che ave­vo per­do­na­to mi ha fat­to dubi­ta­re che quel capi­to­lo del­la mia vita fos­se vera­men­te risol­to.

Quan­do così tan­te don­ne si sono fat­te avan­ti per descri­ve­re quel­lo che Har­vey ave­va fat­to loro, ho dovu­to affron­ta­re la mia codar­dia e accet­ta­re con umil­tà che la mia sto­ria, per quan­to impor­tan­te per me, non era che una goc­cia in un ocea­no di dolo­re e con­fu­sio­ne. Ho sen­ti­to che a quel pun­to a nes­su­no sareb­be impor­ta­to del mio dolo­re — for­se era un effet­to di tut­te le vol­te che mi è sta­to det­to, in par­ti­co­lar modo da Har­vey, che non ero nes­su­no.

Stia­mo final­men­te diven­tan­do con­sa­pe­vo­li di un vizio che è sta­to social­men­te accet­ta­to e ha insul­ta­to e umi­lia­to milio­ni di ragaz­ze come me, per­ché in ogni don­na c’è una ragaz­za. Sono ispi­ra­ta da colo­ro che han­no avu­to il corag­gio di denun­cia­re, in par­ti­co­lar modo in una socie­tà che ha elet­to un Pre­si­den­te che è sta­to accu­sa­to di mole­stie ses­sua­li e aggres­sio­ne da doz­zi­ne di don­ne e che tut­ti abbia­mo sen­ti­to affer­ma­re che un uomo di pote­re può fare ciò che vuo­le alle donne.

Bene, non più.

Nei quat­tor­di­ci anni in cui sono pas­sa­ta fati­co­sa­men­te da stu­den­tes­sa a star del­le soap ope­ra mes­si­ca­ne a extra in alcu­ni film ame­ri­ca­ni, ad ave­re un paio di col­pi for­tu­na­ti in “Despe­ra­do” e “Fool Rush in”, Har­vey Wein­stein era diven­ta­to il mago del­la nuo­va onda­ta di cine­ma che ha por­ta­to dei con­te­nu­ti ori­gi­na­li al gran­de pub­bli­co. Nel­lo stes­so tem­po, era inim­ma­gi­na­bi­le che un’attrice mes­si­ca­na potes­se aspi­ra­re a un posto a Hol­ly­wood. E anche se ave­vo dimo­stra­to che sba­glia­va­no, non ero anco­ra nessuno.

Una del­le for­ze che mi han­no dato la deter­mi­na­zio­ne di inse­gui­re la mia car­rie­ra era la sto­ria di Fri­da Kahlo, che nel­l’e­tà dell’oro dei pit­to­ri mura­li mes­si­ca­ni face­va dei pic­co­li qua­dri inti­mi­sti­ci che tut­ti guar­da­va­no dall’alto in bas­so. Ha avu­to il corag­gio di espri­me­re se stes­sa igno­ran­do lo scet­ti­ci­smo. La mia più gran­de ambi­zio­ne era quel­la di rac­con­ta­re la sua sto­ria. Diven­ne la mia mis­sio­ne, rac­con­ta­re la vita di que­sta arti­sta straor­di­na­ria e mostra­re il mio nati­vo Mes­si­co in una luce che com­bat­tes­se gli stereotipi.

L’impero di Wein­stein, che era allo­ra la Mira­max, era diven­ta­to sino­ni­mo di qua­li­tà, raf­fi­na­tez­za e auda­cia — una casa per arti­sti com­ples­si e non con­for­mi­sti. Era tut­to ciò che Fri­da era ai miei occhi e tut­to ciò che aspi­ra­vo ad essere.

Ave­vo ini­zia­to un per­cor­so per pro­dur­re il film con un’altra com­pa­gnia, ma lot­tai per ria­ver­lo indie­tro e por­tar­lo da Harvey.

Lo cono­sce­vo un po’ tra­mi­te il mio rap­por­to con il regi­sta Robert Rodri­guez e la pro­dut­tri­ce Eli­za­beth Avel­lan, che era allo­ra sua moglie, con cui ave­vo fat­to diver­si film e che mi ave­va pre­so sot­to la sua ala. Tut­to quel­lo che sape­vo di Har­vey a quel tem­po era che ave­va un’intelligenza degna di nota, che era un ami­co lea­le e un padre di famiglia.

Sapen­do quel­lo che so ora, mi chie­do se non sia sta­ta la mia ami­ci­zia con loro — e con Quen­tin Taran­ti­no e Geor­ge Cloo­ney — a sal­var­mi dal­lo stu­pro.

L’accordo ini­zia­le era che Har­vey avreb­be paga­to per i dirit­ti del lavo­ro che io ave­vo già svi­lup­pa­to. Come attri­ce, sarei sta­ta paga­ta il mini­mo pre­vi­sto dal­la Screen Actors Guild più il 10%. Come pro­dut­tri­ce, avrei rice­vu­to un rico­no­sci­men­to anco­ra non defi­ni­to, ma nien­te remu­ne­ra­zio­ne, cosa che non era rara per una pro­dut­tri­ce don­na negli anni ‘90. Ha anche richie­sto che fir­mas­si un accor­do per gira­re diver­si altri film con la Mira­max, cosa che pen­sa­vo avreb­be con­so­li­da­to il mio sta­tus di attri­ce principale.

Non mi impor­ta­va del dena­ro; ero così entu­sia­sta di lavo­ra­re con lui e con quel­la com­pa­gnia. Nel­la mia inge­nui­tà, pen­sa­vo che il mio sogno si fos­se avve­ra­to. Har­vey ave­va dato un sen­so agli ulti­mi quat­tor­di­ci anni del­la mia vita. Ave­va dato una pos­si­bi­li­tà a me — che non ero nes­su­no. Ave­va det­to sì.

Non sape­vo che sareb­be venu­to il mio tur­no di dire no.

No ad aprir­gli la por­ta a tut­te le ore del­la not­te, alber­go dopo alber­go, loca­tion dopo loca­tion, in cui lui si pre­sen­ta­va sen­za pre­av­vi­so, com­pre­sa una loca­tion in cui sta­vo giran­do un film in cui non era nem­me­no coinvolto.

No a far­mi la doc­cia con lui.

No a lascia­re che guar­das­se men­tre mi face­vo la doc­cia.

No a lascia­re che mi faces­se un mas­sag­gio.

No a lascia­re che un suo ami­co nudo mi faces­se un massaggio.

No a lascia­re che mi pra­ti­cas­se del ses­so ora­le.

No a spo­gliar­mi con un’altra don­na.

No, no, no, no, no …

E con ogni rifiu­to arri­va­va la rab­bia machia­vel­li­ca di Harvey.

Non cre­do che ci fos­se qual­co­sa che odias­se di più del­la paro­la “no”. L’assurdità del­le sue pre­te­se anda­va da una furio­sa tele­fo­na­ta nel cuo­re del­la not­te per chie­der­mi di licen­zia­re il mio agen­te per una dispu­ta che sta­va aven­do con lui per un altro film con un altro clien­te, al tra­sci­nar­mi fisi­ca­men­te via dal gala di aper­tu­ra del Festi­val di Vene­zia, che era in ono­re di “Fri­da”, per far­mi par­te­ci­pa­re alla sua festa pri­va­ta con lui e alcu­ne don­ne che cre­de­vo esse­re model­le ma che, come sono venu­ta a sape­re dopo, era­no pro­sti­tu­te di lusso.

Le sue tat­ti­che di con­vin­ci­men­to anda­va­no da esse­re dol­cis­si­mo fino a quel­la vol­ta quan­do, in un attac­co di rab­bia, dis­se le ter­ri­fi­can­ti paro­le: “Ti ucci­de­rò, non pen­sa­re che non pos­sa farlo”.

Quan­do fu infi­ne con­vin­to che non mi sarei gua­da­gna­ta il film nel modo che si aspet­ta­va, mi dis­se che ave­va offer­to il mio ruo­lo e il mio copio­ne con i miei anni di ricer­che a un’altra attri­ce.

Ai suoi occhi, non ero un’artista. Non ero nem­me­no una per­so­na. Ero una cosa: non un cor­po uma­no, ma un cor­po.

A quel pun­to, ho dovu­to ricor­re­re agli avvo­ca­ti, non per per­se­gui­re un caso di mole­stie ses­sua­li, ma soste­nen­do la “mala­fe­de”, visto che ave­vo lavo­ra­to così tan­to a un film che non ave­va inten­zio­ne di fare o di riven­der­mi. Ho cer­ca­to di por­tar­lo via alla sua compagnia.

Lui sosten­ne che la mia repu­ta­zio­ne come attri­ce non fos­se abba­stan­za gran­de e che fos­si un’incompetente come pro­dut­tri­ce, ma per uscir­ne legal­men­te puli­to, da quel­lo che ho capi­to, mi die­de una lista impos­si­bi­le di richie­ste con una bre­ve scadenza:

1. Riscri­ve­re il copio­ne, sen­za ulte­rio­re pagamento.

2. Tro­va­re 10 milio­ni di dol­la­ri per  finan­zia­re il film.

3. Met­te­re sot­to con­trat­to un regi­sta di serie A.

4. Asse­gna­re quat­tro dei ruo­li mino­ri ad atto­ri di fama.

Nel­lo stu­po­re gene­ra­le e anche mio, ho rispet­ta­to i ter­mi­ni, gra­zie a un eser­ci­to di ange­li che sono arri­va­ti in mio soc­cor­so, com­pre­so Edward Nor­ton, che ha mera­vi­glio­sa­men­te riscrit­to il copio­ne diver­se vol­te e non ne ha mai rice­vu­to nes­sun rico­no­sci­men­to, e la mia ami­ca Mar­ga­ret Peren­chio, una pro­dut­tri­ce esor­dien­te, che ha mes­so insie­me il dena­ro. La bril­lan­te Julie Tay­mor che ha accet­ta­to di diri­ger­lo, e da allo­ra è diven­ta­ta la mia roc­cia. Per gli altri ruo­li, ho ingag­gia­to i miei ami­ci Anto­nio Ban­de­ras, Edward Nor­ton e la mia ado­ra­ta Ashley Judd. Ad oggi, non so come ho con­vin­to Geof­frey Rush, che all’epoca cono­sce­vo appena.

Ora Har­vey Wein­stein non era solo sta­to respin­to, ma dove­va anche fare un film che non vole­va fare.

Iro­ni­ca­men­te, una vol­ta ini­zia­te le ripre­se, le mole­stie ses­sua­li ces­sa­ro­no ma la rab­bia creb­be. Paga­va­mo il prez­zo di aver­lo affron­ta­to pra­ti­ca­men­te ogni gior­no di ripre­se. Una vol­ta, in un’intervista dis­se che io e Julie era­va­mo le più gran­di rom­pi­pal­le che aves­se mai incon­tra­to, cosa che pren­dem­mo come un complimento.

A metà del­le ripre­se, Har­vey si pre­sen­tò sul set e si lamen­tò del mono­ci­glio di Fri­da. Insi­ste­va che eli­mi­nas­si la zop­pia e cri­ti­cò la mia inter­pre­ta­zio­ne. Quin­di chie­se a tut­ti nel­la stan­za di usci­re, tran­ne a me. Mi dis­se che l’unica cosa che ave­vo di buo­no era il mio sex appeal e che non ne sta­vo met­ten­do nel film. Quin­di mi dis­se che avreb­be sospe­so la pro­du­zio­ne per­ché nes­su­no avreb­be volu­to veder­mi in quel ruo­lo.

Fu ter­ri­bi­le per­ché, lo con­fes­so, immer­sa nel­la neb­bia di una sor­ta di Sin­dro­me di Stoc­col­ma, vole­vo che mi vedes­se come arti­sta: non solo una bra­va attri­ce, ma anche qual­cu­no che potes­se incar­na­re una sto­ria affa­sci­nan­te e aves­se la visio­ne di rac­con­tar­la in modo originale.

Spe­ra­vo mi rico­no­sces­se come pro­dut­tri­ce, che oltre a rispet­ta­re la sua lista di richie­ste ave­va cura­to il copio­ne e otte­nu­to il per­mes­so di usa­re i dipin­ti. Ave­vo nego­zia­to con il gover­no mes­si­ca­no, e con chiun­que era sta­to neces­sa­rio, per otte­ne­re loca­tion che non era­no mai sta­te con­ces­se in pas­sa­to — com­pre­se le case di Fri­da Kahlo e i mura­les del mari­to, Die­go Rive­ra, tra le altre.

Ma tut­to que­sto sem­bra­va non ave­re valo­re. La sola cosa che ave­va nota­to era che nel film non ero sexy. Mi ave­va fat­to dubi­ta­re di me come attri­ce, ma non è mai riu­sci­to a far­mi pen­sa­re che non vales­se la pena di fare di fare il film.

Mi offrì una sola opzio­ne per con­ti­nua­re. Mi avreb­be lascia­to fini­re il film se aves­si accet­ta­to di fare una sce­na di ses­so con un’altra don­na. Pre­te­se la com­ple­ta nudi­tà frontale.

Ave­va con­ti­nua­men­te chie­sto più pel­le, più ses­so. Una vol­ta, Julie Tay­mor lo ave­va con­vin­to ad accon­ten­tar­si di un tan­go che finis­se con un bacio inve­ce che con l’amplesso che vole­va far­ci fil­ma­re tra il per­so­nag­gio di Tina Modot­ti, inter­pre­ta­to da Ashley Judd, e Frida.

Ma que­sta vol­ta, mi era chia­ro che non mi avreb­be mai lascia­to fini­re quel film sen­za ave­re la sua fan­ta­sia, in un modo o nell’altro. Non c’era spa­zio per la negoziazione.

Ho dovu­to dire sì. A quel pun­to, così tan­ti anni del­la mia vita era­no anda­ti in quel film. Era­no cin­que set­ti­ma­ne che sta­va­mo fil­man­do, e io ave­vo con­vin­to così tan­te per­so­ne pie­ne di talen­to a par­te­ci­pa­re. Come pote­vo lascia­re che il loro magni­fi­co lavo­ro venis­se sprecato?

Ave­vo chie­sto così tan­ti favo­ri, che sen­ti­vo un’enorme pres­sio­ne a rispet­ta­re le con­se­gne e un pro­fon­do sen­so di gra­ti­tu­di­ne per tut­ti quel­li che mi ave­va­no cre­du­to e segui­to in que­sta fol­lia. Così accet­tai di fare quel­la sce­na sen­za senso.

Sono arri­va­ta sul set il gior­no in cui avrem­mo gira­to la sce­na che cre­de­vo avreb­be sal­va­to il film. E per la pri­ma e ulti­ma vol­ta nel­la mia car­rie­ra, ho avu­to un crol­lo ner­vo­so: il mio cor­po ha ini­zia­to a tre­ma­re incon­trol­la­bil­men­te, ave­vo il fia­to cor­to e ho ini­zia­to a pian­ge­re e pian­ge­re, inca­pa­ce di smet­te­re, come se stes­si vomi­tan­do lacrime.

Sic­co­me nes­su­no sape­va nul­la del­la situa­zio­ne tra me e Har­vey, furo­no tut­ti mol­to sor­pre­si del fat­to che quel­la mat­ti­na doves­si for­zar­mi a quel modo. Non era per­ché sarei sta­ta nuda con un’altra don­na. Era per­ché sarei sta­ta nuda con lei per Har­vey Wein­stein. Ma allo­ra non glie­lo pote­vo dire.

La mia men­te ave­va capi­to che dove­vo far­lo, ma il mio cor­po non smet­te­va di pian­ge­re e ave­re le con­vul­sio­ni. A quel pun­to, comin­ciai a vomi­ta­re men­tre un inte­ro set para­liz­za­to aspet­ta­va di ini­zia­re a fil­ma­re. Ho dovu­to pren­de­re un tran­quil­lan­te, che alla fine fece smet­te­re il pian­to ma peg­gio­rò i cona­ti di vomi­to. Come pote­te imma­gi­na­re, non era affat­to sexy, ma fu l’unico modo in cui riu­scii a por­ta­re a ter­mi­ne la scena.

Quan­do le ripre­se del film arri­va­ro­no alla fine, ero così emo­ti­va­men­te distrut­ta che dovet­ti pren­de­re le distan­ze duran­te la postproduzione.

Quan­do Har­vey vide il mon­tag­gio del film, dis­se che non era abba­stan­za buo­no per le sale e che lo avreb­be fat­to usci­re diret­ta­men­te in cassetta.

Que­sta vol­ta Julie dovet­te fron­teg­giar­lo sen­za di me e lo con­vin­se a far­lo usci­re in un cine­ma di New York se lo aves­si­mo sot­to­po­sto al test del pub­bli­co, pas­san­do­lo con alme­no un pun­teg­gio di 80.

Meno del 10% dei film rag­giun­ge quel pun­teg­gio alla pri­ma proiezione.

Non andai al test. Aspet­tai ansio­sa­men­te di ave­re noti­zie. Il film tota­liz­zò un pun­teg­gio di 85.

Di nuo­vo, sen­tii la rab­bia di Har­vey. Nel­la gal­le­ria del cine­ma dopo la pro­ie­zio­ne, gri­dò con­tro Julie. Appal­lot­to­lò uno dei car­ton­ci­ni del pun­teg­gio e glie­lo lan­ciò con­tro. Le rim­bal­zò sul naso. Il suo com­pa­gno, il com­po­si­to­re Elliot Gol­den­thal, si intro­mi­se, e Har­vey lo minac­ciò fisicamente.

Una vol­ta che si cal­mò, tro­vai la  for­za di chia­ma­re Har­vey per chie­der­gli di man­da­re il film anche in un cine­ma di Los Ange­les, per un tota­le di due cine­ma. E sen­za gran­de sfor­zo, me lo con­ces­se. Devo dire che a vol­te era gen­ti­le, diver­ten­te e spi­ri­to­so — e que­sto era par­te del pro­ble­ma: non sape­vi mai qua­le Har­vey ti sare­sti tro­va­ta di fronte.

Mesi dopo, nell’ottobre del 2002, que­sto film, sul­la mia eroi­na e la mia ispi­ra­zio­ne — que­sta arti­sta mes­si­ca­na che non era mai sta­ta dav­ve­ro con­si­de­ra­ta in vita, con la sua zop­pia e il suo mono­ci­glio, que­sto film che Har­vey non ave­va mai volu­to fare, gli die­de un suc­ces­so al bot­te­ghi­no che nes­su­no avreb­be potu­to pre­ve­de­re, e nono­stan­te la man­can­za di sup­por­to da par­te sua, aggiun­se sei nomi­na­tion agli Oscar alla sua col­le­zio­ne, com­pre­sa quel­la per Miglio­re Attrice.

Anche se “Fri­da” alla fine gli frut­tò due Oscar, non vidi comun­que alcu­na gio­ia. Non mi offrì mai più un ruo­lo impor­tan­te in un film. Gli altri film che fui obbli­ga­ta a gira­re per via del mio accor­do con la Mira­max era­no tut­ti in ruo­li minori.

Anni dopo, quan­do incap­pai in lui a un even­to, mi pre­se da par­te e mi dis­se che ave­va smes­so di fuma­re e che ave­va avu­to un attac­co di cuo­re. Dis­se che si era inna­mo­ra­to e ave­va spo­sa­to Geor­gi­na Cha­p­man, e che era un uomo diver­so. Per fini­re, mi dis­se: “Hai fat­to un buon lavo­ro con Fri­da; abbia­mo fat­to un buon film”.

Gli cre­det­ti. Har­vey non pote­va sape­re quan­to quel­le paro­le signi­fi­cas­se­ro per me. Non pote­va nem­me­no sape­re quan­to male mi aves­se fat­to. Non ave­vo mai mostra­to ad Har­vey quan­to fos­si ter­ro­riz­za­ta da lui. Quan­do lo vede­vo in pub­bli­co, sor­ri­de­vo e cer­ca­vo di ricor­da­re le cose buo­ne di lui, dicen­do­mi che ero sta­ta in guer­ra e ave­vo vin­to.

Ma per­ché così tan­te di noi, in quan­to arti­ste don­ne, devo­no anda­re in guer­ra per rac­con­ta­re le nostre sto­rie quan­do abbia­mo così tan­to da offri­re? Per­ché dob­bia­mo lot­ta­re con le unghie e con i den­ti per man­te­ne­re la nostra dignità?

Pen­so che sia per­ché noi, in quan­to don­ne, sia­mo sta­te sva­lu­ta­te arti­sti­ca­men­te a livel­li inde­cen­ti, al pun­to che l’industria cine­ma­to­gra­fi­ca ha smes­so di fare lo sfor­zo di capi­re che cosa il pub­bli­co fem­mi­ni­le voglia vede­re e qua­li sto­rie voglia­mo raccontare.

Secon­do uno stu­dio recen­te, tra il 2007 e il 2016, solo il 4% dei regi­sti era­no don­ne e l’80% di loro han­no avu­to la pos­si­bi­li­tà di fare un solo film. Nel 2016 un altro stu­dio ha sco­per­to che solo il 27% del­le paro­le pro­nun­cia­te nei film più impor­tan­ti era pro­nun­cia­to da don­ne. E la gen­te si chie­de per­ché non ave­te ascol­ta­to le nostre voci pri­ma. Pen­so che la sta­ti­sti­ca si spie­ga da sola — le nostre voci non sono benvenute.

Fin­ché non ci sarà pari­tà nel nostro cam­po, con uomi­ni e don­ne che godo­no del­lo stes­so peso in ogni suo aspet­to, la nostra comu­ni­tà con­ti­nue­rà a esse­re ter­re­no fer­ti­le per i predatori.

Sono gra­ta per tut­ti colo­ro che stan­no ascol­tan­do le nostre espe­rien­ze. Spe­ro che aggiun­ge­re la mia voce al coro di colo­ro che stan­no final­men­te denun­cian­do get­ti luce sul per­ché sia così dif­fi­ci­le e sul per­ché mol­te di noi abbia­mo aspet­ta­to così a lun­go. Gli uomi­ni mole­sta­no per­ché pos­so­no far­lo. Le don­ne stan­no par­lan­do oggi per­ché, in que­sta nuo­va era, final­men­te pos­sia­mo farlo.[/vc_column_text][/vc_column][/vc_row]

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Già nel 2018 Pos­si­bi­le ha pre­sen­ta­to una pro­po­sta di leg­ge sul sala­rio mini­mo. In quel­la pro­po­sta, l’introduzione di un sala­rio mini­mo lega­le, che rico­no­sces­se ai mini­mi tabel­la­ri un valo­re lega­le erga omnes quan­do que­sti fos­se­ro al di sopra del­la soglia sta­bi­li­ta, for­ni­va una inno­va­ti­va inter­pre­ta­zio­ne del­lo stru­men­to, sino a quel tem­po bloc­ca­to dal timo­re di ero­de­re pote­re con­trat­tua­le ai sin­da­ca­ti. Il testo del 2018 è sta­to riscrit­to e miglio­ra­to in alcu­ni dispo­si­ti­vi ed è pron­to per diven­ta­re una pro­po­sta di leg­ge di ini­zia­ti­va popolare.

500.000 firme per la cannabis: la politica si è piantata? Noi siamo per piantarla e mobilitarci.

500.000 fir­me per toglie­re risor­se e giro d’affari alle mafie, per garan­ti­re la qua­li­tà e la sicu­rez­za di cosa vie­ne ven­du­to e con­su­ma­to, per met­te­re la paro­la fine a una cri­mi­na­liz­za­zio­ne e a un proi­bi­zio­ni­smo che non han­no por­ta­to a nes­sun risul­ta­to. La can­na­bis non è una que­stio­ne secon­da­ria o risi­bi­le, ma un tema serio che riguar­da milio­ni di italiani.

Possibile per il Referendum sulla Cannabis

La can­na­bis riguar­da 5 milio­ni di con­su­ma­to­ri, secon­do alcu­ni addi­rit­tu­ra 6, mol­ti dei qua­li sono con­su­ma­to­ri di lun­go cor­so che ne fan­no un uso mol­to con­sa­pe­vo­le, non peri­co­lo­so per la società.
Pre­pa­ra­te lo SPID! Sarà una cam­pa­gna bre­vis­si­ma, dif­fi­ci­le, per cui ser­vi­rà tut­to il vostro aiu­to. Ma si può fare. Ed è giu­sto provarci.

Corridoi umanitari per chi fugge dall’Afghanistan, senza perdere tempo o fare propaganda

La prio­ri­tà deve esse­re met­te­re al sicu­ro le per­so­ne e non può esse­re mes­sa in discus­sio­ne da rim­pal­li tra pae­si euro­pei. Il dirit­to d’asilo è un dirit­to che in nes­sun caso può esse­re sot­to­po­sto a “vin­co­li quan­ti­ta­ti­vi”. Ser­vo­no cor­ri­doi uma­ni­ta­ri, e cioè vie d’accesso sicu­re, lega­li, tra­spa­ren­ti attra­ver­so cui eva­cua­re più per­so­ne possibili. 

I padroni dicono di no a tutto. E per questo scioperiamo.

La stra­te­gia del capi­ta­li­smo è quel­la di ato­miz­za­re le riven­di­ca­zio­ni, met­ter­ci gli uni con­tro gli altri, indi­vi­dua­re un nemi­co invi­si­bi­le su cui svia­re l’attenzione, sosti­tui­re la lot­ta col­let­ti­va con tan­te lot­te indi­vi­dua­li che, pro­prio per que­sto, sono più debo­li e più faci­li da met­te­re a tacere.
Ma la gran­de par­te­ci­pa­zio­ne allo scio­pe­ro del 13 dicem­bre dimo­stra che la dimen­sio­ne col­let­ti­va del­la nostra lot­ta, del­le nostre riven­di­ca­zio­ni, non è perduta.