Si leggono argomenti sicuramente curiosi a sostegno della legge elettorale, il cosiddetto Italicum 2.0, che va delineandosi in Parlamento.
Il più curioso è quello secondo il quale le dimensioni ridotte dei collegi garantirebbero una forte rappresentanza, perché molto simili a collegi uninominali, quelli su cui si fondava il Mattarellum.
Si sostiene, addirittura, che il sistema in discussione sarebbe migliore perché oltre all’indicazione di un capolista forte – che dovrebbe corrispondere, nella testa di chi usa questo argomento, al candidato nel collegio uninominale – offre la possibilità di indicare delle preferenze. Quanta grazia.
Scrive, ad esempio, Ivan Scalfarotto, in un post intitolato «Sono io che non capisco»:
ma le preferenze arrivano insieme all’indicazione di un capolista forte, che funziona come il titolare di un collegio uninominale. Sulla scheda: nome di un solo candidato e simbolo del partito, immediata e diretta connessione tra un nome e una compagine politica. Si eleggeranno così forse il 50% dei deputati* (stima D’Alimonte sul Sole 24 ore di ieri): meno del 75% di “nominati” che facevano i candidati nei collegi uninominali del Mattarellum e che nessuno però definiva “nominati”.
Quel che Scalfarotto dimostra di non capire è cosa sia un collegio uninominale e, quindi, la differenza sostanziale con i collegi dell’Italicum 2.0.
In un collegio uninominale si sfidano un solo candidato per ciascuna lista in corsa, e si determina chi vince sulla base del risultato nel singolo collegio. Se la Lega Nord insieme al suo candidato ottiene, nel collegio di Treviso, la vittoria, allora viene eletto il candidato della Lega Nord. E solo lui. Chiaro che se il candidato sarà impresentabile agli occhi dei tanti elettori leghisti della provincia di Treviso, allora può darsi che questi opteranno per un’altra lista, mettendo a rischio l’elezione del candidato leghista. (Questo sistema potrebbe essere migliorato prevedendo primarie obbligatorie e un eventuale secondo turno).
Come funzionano i collegi plurinominali dell’Italicum 2.0? Prima di tutto, c’è da dire che i collegioni saranno grandi fino a cinque volte quelli del Mattarellum e comprenderanno fino a 600.000 persone: «100 collegi plurinominali, fatti salvi i collegi uninominali nelle circoscrizioni Valle d’Aosta e Trentino-Alto Adige, per le quali sono previste disposizioni particolari». Quindi, più o meno, ogni collegio eleggerà sei candidati. Come si selezionano gli eletti? Non sulla base del risultato nel singolo collegio, ma sulla base del risultato nazionale: «i seggi sono attribuiti su base nazionale con il metodo dei quozienti interi e dei più alti resti»**. Ciò vuol dire che se la Lega Nord, a Treviso, vincesse ottenendo il 50% dei voti non otterrebbe tre eletti su sei in provincia di Treviso, di cui il capolista e due con le preferenze, ma eleggerebbe solamente la sua quota nazionale: uno, il capolista. Lo stesso varrebbe per tutti gli altri collegi e per tutti gli altri partiti (salvo la ripartizione dei resti). Paradossalmente, un candidato leghista che nel collegio di Treviso abbinasse al 45% dei voti centomila preferenze potrebbe non risultare eletto, a scapito di un candidato del Partito Democratico, con meno voti e con dieci preferenze.
A ciò aggiungiamo la possibilità di pluricandidatura dei capilista (fino a un massimo di dieci collegi) il che introduce un ulteriore elemento che allontana la rappresentazione del voto popolare, a favore dei partiti, che potranno scegliere parlamentari più simpatici. O più fedeli.
Vi pare che questo sistema possa garantire una buona rappresentanza, considerando che quattro eletti su sei – più o meno – saranno nominati dai partiti e non scelti dall’elettorato del collegio? O garantisce un risultato predeterminato e facilmente controllabile? Ma forse è proprio questo che vogliono i promotori della riforma.
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* O forse se ne eleggeranno di più. Difficilmente se ne eleggeranno molti meno del 50%.
** Dall’emendamento “canguro” presentato dal senatore Esposito.