È stato pubblicato poche settimana fa un dossier delle Nazioni Unite che mette i brividi. In Italia non se ne è parlato, purtroppo.
Secondo le Nazioni Unite, numerose migranti, per evitare una quasi certa gravidanza, si sottoporrebbero, per almeno tre mesi, a iniezioni di forti dosi di contraccettivi. La notizia di questa massiccia “assunzione preventiva” di farmaci, spesso con pesanti conseguenze sulla salute, come scrive Emilio Drudi per Tempi Moderni, era filtrata anche a Roma in alcune confidenze raccolte da medici e operatori sanitari dei centri di accoglienza della Croce Rossa. Ora è arrivata la conferma dall’ultimo rapporto Onu sulla situazione dei profughi in Libia, sulla base di una serie di testimonianze di donne di varie nazionalità arrivate dal Sudan.
Una prova indiretta di questo calvario è il gran numero di giovani incinte sbarcate nell’ultimo anno in Italia, vittime quasi sempre di violenza ad opera dei trafficanti o nei centri di detenzione in cui sono finite dopo essere state intercettate in qualche posto di blocco di miliziani o della polizia libica. I loro racconti riferiscono di continui episodi di autentica schiavitù, con i carcerieri o i trafficanti che dispongono quando, come e per tutto il tempo che vogliono dei corpi delle ragazze, spesso molto giovani. Le usano come bancomat e poi come strumento di piacere. Una ventenne eritrea, ad esempio, ha riferito che per oltre un mese una delle guardie la ha prelevata tutte le notti dal capannone-prigione dove era rinchiusa con le compagne. E Anna Lobkowicz, del Malteser di Berlino (il servizio di assistenza internazionale dell’Ordine di Malta), ha raccolto la storia di una siriana, madre di tre bambini di undici, nove e un anno, che “è stata violentata quotidianamente dal trafficante di esseri umani davanti ai suoi figli, è arrivata in Germania al nono mese di gravidanza, ha partorito ed ha detto che quel bimbo non lo voleva tenere”.
Il dossier dell’Onu è stato reso noto negli stessi giorni in cui a Bruxelles, con la giustificazione di “evitare che il Mediterraneo si trasformi in un cimitero”, si è concretizzato il programma di rimpatrio dei migranti nei loro paesi direttamente dalla Libia, facendone uno degli hub africani di concentrazione, smistamento e respingimento e impedendo gli imbarchi.
Ciò significa intrappolare i rifugiati in Libia fino a che non accetteranno “volontariamente” di tornare indietro o non saranno espulsi, visto che l’ultima parola spetterà comunque alle autorità libiche. Solo che, appunto, la Libia è il “luogo dell’orrore”. Lo denunciano ormai da anni i rapporti di organizzazioni come Amnesty, Human Right Watch, Medici Senza Frontiere, Habeshia. Si aggiunge ora anche il report delle Nazioni Unite, pubblicato dal quotidiano Libya Herald, che parla di rapimenti, violenze, riduzione in schiavitù, torture.
“La situazione dei migranti in Libia fa emergere una crisi dei diritti umani. Il collasso del sistema di giustizia ha provocato uno stato di impunità nel quale gruppi armati, bande criminali, contrabbandieri e trafficanti controllano il flusso dei migranti attraverso il paese”, si legge nel dossier. Con la complicità, si aggiunge, di funzionari governativi: “La missione Onu in Libia (Unsmil) ha ricevuto informazioni attendibili che alcuni esponenti di istituzioni statali e alcuni funzionari locali hanno partecipato al sistema di contrabbando e traffico”. E ancora: “La compravendita di migranti è una pratica abituale. Detenzione, sfruttamento, lavoro forzato per potersi pagare il viaggio. E sono le donne a pagare il prezzo più alto”.
Tutto questo mentre l’Unione Europea pare ignorare volutamente la realtà e avvia respingimenti, stringe accordi con Paesi dove regnano dittature sanguinarie, che peraltro finanzia, ricostruisce i CIE (Italia docet). Questa Europa, sorta dopo le mostruosità del nazismo e del fascismo, pare tradire se stessa e gestire, ancora una volta, donne e uomini con la crudeltà che ha sempre caratterizzato l’indifferenza degli ignavi. Altro che patria del diritto.