Delle volte, a guardar dentro alla finestra mediatica che ci connette quotidianamente al mondo in vetrina, mi sembra di vivere come dentro ad una grande bolla trasparente. Che mi separa dalle cose concrete, e mi mette nella condizione poco invidiabile (secondo una certa logica) del “povero illuso”.
Come sarebbe infatti possibile continuare a parlare di buone pratiche, cercarle e raccontarle da oltre un decennio, mentre tutto intorno sembra venir giù un intero pezzo di montagna in un tempo che è il tempo del continuo affanno, delle crisi sovrapposte, delle tragedie annunciate a reti unificate…?
Ma il punto di cesura, credo, è proprio questo. Che basta gettare lo sguardo oltre quella finestra, per accorgersi facilmente che il paesaggio intorno a noi è (anche) altra cosa.
Che davvero e per fortuna esiste un’altra Italia in costruzione, come un lento ma inarrestabile cantiere in divenire. Fatto di cose concrete, di contaminazioni, di esperienze locali e trasversali che avvengono dentro e fuori le istituzioni per mano di (a volte) visionari e sognatori (i poveri illusi di cui sopra), ma anche di ingegneri e professori universitari, operai e artigiani, studenti e cooperanti internazionali…
C’è di tutto, e c’è il meglio, lì fuori. Perfettibile e imperfetto, come le cose che accadono ogni giorno alle persone normali, come a chi fa politica mettendo al centro della propria azione il bene comune che è sempre e comunque l’orizzonte a cui tendere, costi quel che costi.
Ed è vero ed è bello che sia così, che come suggerito nel sottotitolo di questo nuovo lavoro (“Le panchine ribelli”, EMI 2016 — www.emi.it) basta poco per cambiare tutto. Come nel caso della comunità di Castel del Giudice (IS) in grado di trasformare problemi apparentemente insuperabili (abbandono residenti; chiusura presidi pubblici, terreni ed edifici in disuso) in opportunità. O nel caso di Arvaia, centinaia di famiglie che alle porte di Bologna si mettono in gioco per sottrarsi dal ricatto dei centri commerciali e far da sé nella produzione di ciò che si mangia.
In questo libro ho messo pezzi di storie in cui sono inciampato nell’ultimo anno. Ci sono dentro le facce e le parole e le esperienze delle tante persone che ho visto all’opera. E c’è tutta la faziosità di un cronista di parte come il sottoscritto, che fa un tifo sfegatato e dichiarato per questo pezzo d’Italia che non va in televisione, ma che l’Italia la sta già cambiando. Un giorno per volta.