Dopo il dibattito su Sky, “ho discusso con i miei colleghi del tema delle liberalizzazioni — ci scrive Enzo -, un tema molto caro al Pd e al segretario Bersani per il quale ci siamo spesi tutti noi farmacisti titolari di parafarmacia, sia alle primarie che alle elezioni di febbraio”. E’ in questo contesto che “tremila giovani professionisti, a costo zero per lo Stato, hanno aperto tremila attività e assunto altri tremila giovani collaboratori. Queste aziende oggi stanno soffrendo maledettamente a causa di questa crisi, a causa delle continue ritorsioni fatte da chi vorrebbe che queste chiudessero, per conservare il proprio vantaggio competitivo, così come sta succedendo con la mancata esecuzione del concorso straordinario per l’apertura di cinquemila farmacie, successivo al cosiddetto’Decreto Cresci Italia’ del governo Monti”.
Partiamo da dove eravamo rimasti, dalle lenzuolate di Bersani e dalle privatizzazioni malriuscite, come ci ha ricordato lo stesso Civati durante il confronto a Sky. Perché l’uguaglianza si costruisce anche così, liberalizzando, che è dinamica diversa, che muove su un altro piano, rispetto a quello delle privatizzazioni.
Marco da Milano ci spiega chiaramente, infatti, che “il numero chiuso (numero contingentato di licenze) per l’accesso alla libera attività dei professionisti incaricati di pubblici servizi (notai e farmacisti), appare, nella sua forma attuale, in aperto contrasto con l’interesse pubblico generale. Mentre i cittadini hanno interesse ad avere un numero elevato, e non certo minimo, di servizi essenziali sul territorio, con l’attuale sistema viene negata la possibilità che la libera concorrenza, basata sulle ‘capacità’ dei professionisti abilitati, determini un’ulteriore diffusione ed espansione dei servizi offerti sul territorio. Nel momento in cui lo Stato dovesse ritenere che alcune attività fossero d’importanza primaria, come nel caso dell’assistenza farmaceutica o di quella dei notai, dovrebbe farsi carico di stabilire standard di qualità e di requisiti minimi per lo svolgimento delle stesse attività professionali, ma lasciare poi agli operatori del settore la libertà di proporsi sul mercato”. Uno Stato che quindi assicura che i servizi siano di qualità, ponendo dei requisiti, ma che elimina barriere all’ingresso nel mercato stabilite arbitrariamente, che ingolfano il sistema a danno dei cittadini.
Accanto a questi professionisti ne troviamo altri, non riconosciuti, spesso giovani, spesso precari, che spesso ricevono compensi indegni per una Repubblica che si dice fondata sul lavoro. Ecco perché nella mozione si parla di riforma degli ammortizzatori sociali, ripensati attorno al reddito minimo garantito. Una riforma degli ammortizzatori sociali che richiede — ci fa notare Luciano — interventi chiari per quel che riguarda “la programmazione e la concertazione tra le parti sociali. Sui modi di compartecipazione di lavoratori ed imprese alla politica industriale, in sinergia con Pubblica Amministrazione e Governo, sul modello del mercato sociale tedesco, ma calibrato sul contesto produttivo italiano, e da integrare con i temi dell’incubazione d’impresa”.