Leggi razziali: sono passati 80 anni e purtroppo sembra ieri.

Caso­mai ce ne fos­se sta­to biso­gno, il rin­cor­rer­si dei sem­pre più orri­bi­li tito­li dei gior­na­li di que­sti gior­ni ci dà un pla­sti­co esem­pio del per­ché sia impor­tan­te ricor­da­re gli ottan­ta anni dal­le leg­gi raz­zia­li.

Com­ple­ta eli­mi­na­zio­ne dal­la scuo­la fasci­sta degli inse­gnan­ti e degli alun­ni ebrei”, tito­la­va Il Pic­co­lo di Trie­ste nel 1938, dopo il discor­so di Mus­so­li­ni che pro­prio in quel­la cit­tà annun­cia­va l’introduzione del­le leg­gi razziali.

E a pochi chi­lo­me­tri da Trie­ste, a 80 anni di distan­za, la sin­da­ca di Mon­fal­co­ne Cisint sce­glie di com­me­mo­ra­re l’evento intro­du­cen­do il tet­to agli immi­gra­ti nel­le scuo­le dell’infanzia del suo comu­ne.

Alme­no 60 bam­bi­ni rischia­no di resta­re fuo­ri. Esclu­si, respin­ti, espul­si.  Che ne sarà di loro? “Se li pren­da­no gli altri comu­ni”, dice la sin­da­ca leghi­sta, lavan­do­se­ne le mani. Sen­za suc­ces­so, per­ché quel­le mani reste­ran­no mac­chia­te da que­sta vio­len­za, ci sia con­ces­so dir­lo sen­za azzar­da­re para­go­ni con Lady Macbeth.

Quel­lo che acca­drà, inve­ce, con ogni pro­ba­bi­li­tà, è che buo­na par­te di quei bam­bi­ni all’asilo non ci andrà affat­to. E tra tre anni, quan­do arri­ve­rà alle ele­men­ta­ri, non par­le­rà una paro­la di ita­lia­no, alla fac­cia del­le paro­le del friu­la­no sot­to­se­gre­ta­rio all’istruzione Pit­to­ni (anche lui leghi­sta, ça va sans dire) che sostie­ne il tet­to ser­va pro­prio a “garan­ti­re l’integrazione”.

E Mon­fal­co­ne, pur­trop­po, non è un caso iso­la­to. A Lodi la sin­da­ca (indo­vi­na­te un po’? Leghi­sta) ha deci­so di fat­to di impe­di­re l’accesso alla men­sa e allo scuo­la­bus per i figli degli immi­gra­ti.

Non par­lia­mo dell’Alabama del­le leg­gi Jim Crow, ma dell’Italia del 2018.

Un’Italia che rischia di asso­mi­glia­re sem­pre di più a Mon­fal­co­ne e Lodi. La regio­ne Friu­li Vene­zia Giu­lia, capi­ta­na­ta (è il caso di dir­lo) dall’ultrasalviniano Fedri­ga, sta pen­san­do di pren­de­re a esem­pio quel­lo che già chia­ma “model­lo Mon­fal­co­ne” ed esten­der­lo a tut­to il ter­ri­to­rio regionale.

Come sem­pre, la solu­zio­ne alla sfi­da che indub­bia­men­te pone l’integrazione, sem­pli­ce­men­te, non si vuo­le tro­va­re. Anzi, si vuo­le ali­men­ta­re il pro­ble­ma, per poter­lo caval­ca­re e per rica­var­ne nuo­ve pau­re, nuo­ve ten­sio­ni, nuo­ve vio­len­ze, da far sup­pu­ra­re e tra­sfor­ma­re in nuo­vo mar­cio con­sen­so per que­sto gover­no che dal gial­lo ver­de sta viran­do mol­to in fret­ta a una dis­sol­ven­za a nero.

È un film già visto, tra­gi­ca­men­te vis­su­to da mol­te e mol­ti, alcu­ni dei qua­li per for­tu­na sono anco­ra qui per raccontarlo.

Come ricor­da Lilia­na Segre, sena­tri­ce a vita soprav­vis­su­ta ai cam­pi di con­cen­tra­men­to e pri­ma anco­ra ban­di­ta dal­le scuo­le fasci­ste, pro­prio come annun­cia­to da quel tito­lo del Pic­co­lo, il vero segno del peri­co­lo di aver imboc­ca­to una stra­da sen­za ritor­no va visto nell’indif­fe­ren­za di fron­te alla bar­ba­rie. Anco­ra di più, Jason Stan­ley in “Come fun­zio­na il fasci­smo” ricor­da le paro­le di sua non­na Ilse Stan­ley, che segna­la­va come la “nor­ma­liz­za­zio­ne”, la bana­le accet­ta­zio­ne e mini­miz­za­zio­ne di atti gra­vis­si­mi e sen­za pre­ce­den­ti, fu il vero spar­tiac­que nel­la Ger­ma­nia del­la fine degli anni ’30.

A 80 anni dal­le leg­gi raz­zia­li c’è chi spac­cia come cam­bia­men­to, come buon­sen­so, come attua­zio­ne del­la volon­tà popo­la­re, una discri­mi­na­zio­ne schi­fo­sa, vio­len­ta, che avrà gra­vis­si­me con­se­guen­ze sul nostro tes­su­to socia­le e sul pae­se che lasce­re­mo alle futu­re gene­ra­zio­ni. A 80 anni dal­le leg­gi raz­zia­li non pos­sia­mo resta­re indif­fe­ren­ti rispet­ti a fat­ti come quel­li di Mon­fal­co­ne e di Lodi, come quel­li di mol­te altre par­ti d’Italia. Non pos­sia­mo “nor­ma­liz­za­re”, non pos­sia­mo bana­liz­za­re, non pos­sia­mo mini­miz­za­re, per igna­via, per stan­chez­za, per pau­ra di non ave­re con­sen­so.

Dob­bia­mo oppor­ci, gri­dar­lo for­te, chie­de­re a chi la pen­sa come noi di fare lo stes­so. Sco­pri­re­mo che sia­mo mol­te e mol­ti, più di loro. E dare­mo nuo­va­men­te una spe­ran­za al paese.

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