L’inclusione sociale è quella cosa che la politica persegue per evitare fenomeni come quelli che si stanno vivendo nelle periferie, da Milano a Roma. Sembra una cosa banale, ovvia, ma non lo è. Non lo è perché, negli ultimi anni, la politica ha spesso cercato di stare alla larga da temi come questo. E infatti, si stanno verificando quei fenomeni.
L’emergenza abitativa, ad esempio, c’è da sempre e da sempre è un crimine morale, perché è criminale l’idea che a qualcuno possa non essere garantito il diritto ad avere un tetto sulla testa. Se questa c’è ancora pure dinanzi a un numero impressionante di alloggi vuoti, il crimine s’ingigantisce, come le volumetrie di troppi Prg super espansivi.
Quindi è giusto che i governanti si pongano il problema di come fronteggiarla. Solo che, però, quello è solo il titolo e il progetto a venire del “Piano Casa” di Lupi, mentre nello svolgimento, e da subito, si prevede il divieto di chiedere la residenza e l’accesso ai servizi minimi per chiunque occupi senza titolo un immobile, mettendo sullo stesso piano coloro che, per disperazione, fanno diventare casa un capannone abbandonato o un ospedale mai finito e chi, con l’aiuto o la minaccia della criminalità organizzata, sottrae il diritto di un altro a stare negli alloggi popolari.
Senza i servizi e senza residenza, si diventa fantasmi. Quest’ultima, poi, è il fondamento della cittadinanza. Non casualmente le prime leggi anagrafiche, che segnarono anche normativamente il passaggio da una società degli status a quella in cui diventava fondamentale il concetto di cittadino, sono nate come conseguenza dei moti rivoluzionari d’Europa e d’America, ed ecco perché la sua concessione non è, meglio, non era, vincolata da precise condizioni, ma legata all’accertamento di un fatto, escludendo criteri pregiudiziali.
Ora, invece, essa viene subordinata al rapporto giuridico con l’abitazione che si occupa: diventa un affare di censo. Chi può permettersi un alloggio, sarà cittadino, chi no e non è disposto a vivere per strada quando esistono milioni di vani vuoti, no.
Il capolavoro, poi, potrebbe essere nello schema di decreto proposto dal Governo in materia di procedure di “alienazione” del patrimonio di edilizia residenziale pubblica. Fra i criteri per la vendita, si prevede la fissazione del prezzo dell’alloggio in base ai valori normali “rilevati per la medesima fascia e zona”, con la possibilità per gli assegnatari regolari di appartamenti inseriti nei piani di vendita, di esercitare entro 45 giorni un diritto di prelazione.
Signori ministri, ma se quegli assegnatari fossero in grado di trovare i soldi per un alloggio in un mese, non credete che se ne sarebbero già andati? In Italia, stimano le associazioni degli inquilini, ci sono circa 700 mila cittadini con diritto a una casa popolare ancora in attesa, volete aggiungere a questi anche quanti avranno la sventura di vedere la loro casa finire in un “programma di alienazione”? Volete rischiare di ingrossare quelle fila, aumentando la rabbia delle periferie verso i più poveri fra i poveri, che abitano in immobili in cui difficilmente potrà essere immaginata con successo un’asta pubblica, o verso i penultimi, a cui comunque, in caso di vendita, dovranno essere garantiti i diritti derivanti dal fatto di essere già titolari di alloggio popolare? Davvero volete rischiare di soffiare ancora sul fuoco del rancore sociale?