L’essenza della scuola tra pandemia e caos

Forse questo è un nuovo periodo di transizione e tra poco raggiungeremo un equilibro ma il caos presente ha messo a nudo molte problematiche irrisolte diventate ormai endemiche. La fragilità di moltissime famiglie verso le quali la scuola non riesce ad essere inclusiva, la precarietà di molti lavoratori, una didattica piegata alle esigenze della burocrazia, la professione del docente screditata e umiliata.

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di Lotar Sanchez

Si è par­la­to mol­to in pas­sa­to del­la didat­ti­ca a distan­za. Sono più o meno tut­ti d’accordo sul fat­to che pos­sa esse­re una fon­te di nuo­ve pos­si­bi­li­tà se usa­ta bene. Ed è su que­sto “bene” che si potreb­be apri­re un enor­me ven­ta­glio di posi­zio­ni e sfumature.

In real­tà, a oggi sono rela­ti­va­men­te pochi i docen­ti aggior­na­ti su que­sto tema, in gra­do più che di abban­do­na­re la didat­ti­ca in pre­sen­za, di abbi­na­re con sapien­za il rap­por­to inter­per­so­na­le a tec­no­lo­gie del­la comu­ni­ca­zio­ne scel­te in base alle carat­te­ri­sti­che e par­ti­co­la­ri­tà dei pro­pri stu­den­ti. Per un’infinità di moti­vi (ana­gra­fi­ci, cul­tu­ra­li, ecc) una buo­na par­te dei docen­ti del­la pri­ma­ria e del­la secon­da­ria non ha volu­to, o potu­to, svi­lup­pa­re le sopra­ci­ta­te competenze.

È leci­to pen­sa­re che ci tro­vas­si­mo nel bel mez­zo di una meta­mor­fo­si, che la scuo­la si stes­se adat­tan­do con len­tez­za ma deci­sa­men­te a del­le tec­no­lo­gie che ven­go­no chia­ma­te “nuo­ve” da qua­si una ven­ti­na di anni. Con tut­te le dif­fi­col­tà del caso, la dire­zio­ne comun­que era quel­la e, pri­ma o poi, que­sta fase di tran­si­zio­ne sareb­be sta­ta superata.

La pan­de­mia è arri­va­ta e ovvia­men­te nes­su­no era pron­to, nem­me­no la scuo­la. All’improvviso miglia­ia di docen­ti si sono dovu­ti ricon­ver­ti­re alla comu­ni­ca­zio­ne tele­ma­ti­ca, miglia­ia di fami­glie non han­no più potu­to igno­ra­re il regi­stro elet­tro­ni­co onli­ne, miglia­ia di bam­bi­ni e ragaz­zi si sono ritro­va­ti a sca­ri­ca­re i com­pi­ti ogni mattina.

Ognu­no ha fat­to quel che ha potu­to con le pro­prie for­ze e capa­ci­tà. Video­chia­ma­te, chat, docu­men­ti da sca­ri­ca­re e cari­ca­re (lascia­mo per­de­re per favo­re gli orren­di angli­ci­smi down­loa­da­re e uploa­da­re). In mez­zo a que­sto mara­sma sono arri­va­te le cir­co­la­ri con cui mol­ti Diri­gen­ti invi­ta­va­no, giu­sta­men­te, a usa­re sol­tan­to piat­ta­for­me e app uffi­cia­li, man­dan­do nel pani­co tut­ti. I ser­ver non sem­pre han­no ret­to la con­nes­sio­ne in mas­sa del­le fami­glie, le pas­sword si per­do­no ed è assai com­pli­ca­to recu­pe­rar­le. Sul regi­stro elet­tro­ni­co il mate­ria­le si può lascia­re sul­la pagi­na dei com­pi­ti, sul­la bache­ca, sul­la pagi­na di con­di­vi­sio­ne con i docen­ti. Ita­lia­no di là, mate­ma­ti­ca di qua. Ingle­se si man­da per email anche se non si potreb­be. I rap­pre­sen­tan­ti di clas­se che attra­ver­so le chat dei geni­to­ri invia­no com­pi­ti, par­la­no con tut­ti, fan­no da col­lan­te socia­le. Docen­ti stan­chi per­ché lavo­ra­no inin­ter­rot­ta­men­te per non lascia­re indie­tro nes­su­no. Geni­to­ri che non rie­sco­no a svol­ge­re il tele­la­vo­ro per­ché devo­no segui­re i figli. Chie­den­do, rispon­do­no tut­ti più o meno la stes­sa cosa: si lavo­ra più di pri­ma.

In tut­to que­sto sono gli ulti­mi a subi­re le con­se­guen­ze più pesan­ti: i ragaz­zi con geni­to­ri non in gra­do di seguir­li, le fami­glie che non han­no un com­pu­ter. I docen­ti lo san­no, sono que­gli stu­den­ti che non han­no mai sca­ri­ca­to un docu­men­to, mai segna­to una “pre­sa visio­ne”, mai con­se­gna­to un com­pi­to. Se que­sta situa­zio­ne si pro­trar­rà come sem­bra, pas­se­ran­no le set­ti­ma­ne e come sem­pre i più debo­li rimar­ran­no per la strada.

Poi ci sono i lavo­ra­to­ri in appal­to, ovve­ro gli edu­ca­to­ri che fan­no soste­gno sco­la­sti­co, i pro­get­ti di dopo­scuo­la, le atti­vi­tà extra­cur­ri­co­la­ri. All’inizio gli era sta­to det­to di anda­re a casa dei ragaz­zi che seguo­no, poi che dove­va­no fare il tele­la­vo­ro, poi in mol­ti casi nien­te. Ades­so que­sti lavo­ra­to­ri stan­no assol­ven­do un com­pi­to mol­to deli­ca­to: aiu­ta­re chi è più in dif­fi­col­tà a non rima­ne­re fuo­ri, com­bat­te­re l’esclusione. Che poi alla fine è que­sta l’essenza del ter­zo settore.

For­se que­sto è un nuo­vo perio­do di tran­si­zio­ne e tra poco rag­giun­ge­re­mo un equi­li­bro ma il caos pre­sen­te ha mes­so a nudo mol­te pro­ble­ma­ti­che irri­sol­te diven­ta­te ormai ende­mi­che. La fra­gi­li­tà di mol­tis­si­me fami­glie ver­so le qua­li la scuo­la non rie­sce ad esse­re inclu­si­va, la pre­ca­rie­tà di mol­ti lavo­ra­to­ri, una didat­ti­ca pie­ga­ta alle esi­gen­ze del­la buro­cra­zia, la pro­fes­sio­ne del docen­te scre­di­ta­ta e umiliata.

Que­sta cri­si sani­ta­ria ci ha mes­so di fron­te a un gran­de pro­ble­ma sul qua­le già in mol­ti han­no riflet­tu­to in pas­sa­to. La scuo­la è rima­sta sen­za gli edi­fi­ci ma sono rima­ste le per­so­ne. Edu­ca­re vie­ne da edu­cĕ­re, ovve­ro “trar­re fuo­ri”, non riem­pi­re o adat­ta­re ma libe­ra­re le poten­zia­li­tà di cia­scu­no. Alla fine di que­sta pan­de­mia, quan­do ci ritro­ve­re­mo di per­so­na, sare­mo capa­ci di ritro­va­re l’essenza del­la for­ma­zio­ne uma­na dell’uomo?

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