La retorica è sempre la medesima: meno tasse per tutti. La flat tax è infilata un po’ ovunque, per testimoniare l’impegno elettorale della maggioranza al governo. L’imposta sui redditi delle persone fisiche vede il suo gettito continuamente eroso da regimi sostitutivi straordinari, detrazioni e altre tax expenditures che modificano la natura già scarsamente progressiva della struttura delle aliquote. Lo scenario, lo capirete, è quello che è.
Che fare quindi? Come si affronta, ad esempio, l’evasione monstre che affligge da sempre il nostro paese? No, non cadiamo nella trappola di spostare altrove la sede esclusiva degli elusori e degli evasori fiscali. Non si tratta solo di multinazionali, che pure eludono il fisco con meccanismi raffinatissimi e che tuttavia saranno interessate dalla cosiddetta Minimum Corporate Tax al 15 per cento, approvata in Europa con la Direttiva (UE) 2022/2523 del Consiglio del 14 dicembre 2022 ed entrata il 1° Gennaio a far parte della nostra disciplina fiscale, la cui efficacia sarà da dimostrare numeri alla mano.
Parliamo della platea nazionale, rappresentata dalle statistiche del Tax Gap, ossia il valore del divario tra le imposte e i contributi effettivamente versati e le imposte e i contributi che si sarebbero dovuti versare. Stando all’aggiornamento pubblicato lo scorso 2 gennaio, nel complesso l’evasione fiscale e contributiva nel 2021 risulta pari a 83,6 miliardi di euro, di cui circa 73,2 miliardi di mancate entrate tributarie e 10,4 miliardi di mancate entrate contributive. Per dare una misura dell’entità di tali cifre, la manovra finanziaria 2024 vale circa 24 miliardi, finanziata con un extra deficit di 15,7 miliardi. L’evasione è pari a 3,5 volte la manovra.
Sono, badate bene, numeri in diminuzione rispetto all’anno di riferimento, il 2016, quando il totale evaso si attestava a quasi 108 miliardi di euro.
Lo scenario è quindi in miglioramento, ma non del tutto. Alcune aree più propense all’evasione continuano a persistere. I dati sono eloquenti e spiegano che i netti miglioramenti nel Tax Gap dell’IVA (passato da 34,7 mld nel 2016, a 18,1 mld nel 2021; in termini di propensione al gap, siamo scesi dal 26,2% del 2016 al 13,8% del 2021) sono da imputarsi specialmente agli strumenti del fisco digitale, allo scontrino digitale, alla fatturazione elettronica e allo split payment verso la PA. Strumenti che sono sempre stati indigesti alle componenti della maggioranza al governo, alla Lega in particolar modo, e che sono spesso finiti nel mirino di tentativi di soppressione.
Il 31 dicembre 2023 è terminato il periodo transitorio per i titolari di partita IVA che rientrano nel regime forfettario, e solo dal 1 gennaio di quest’anno la fattura elettronica è diventata obbligatoria per tutti. Ma gli strumenti digitali, di per sé, non potranno generare ulteriori miglioramenti se non saranno accompagnati dalla riduzione del limite al pagamento in contanti, innalzato dal governo Meloni a 5 mila euro con la Legge di Bilancio 2023.
I numeri mostrano anche come poco si sia fatto per migliorare la tax compliance nei riguardi dell’IRPEF da lavoro autonomo e impresa, la quale rappresenta nel 2021 la quota più alta di evasione (30 mld vs. 83,6 totali, pari al 36 per cento) e la peggiore propensione al gap (67,2%). Il governo ha testé approvato per questi contribuenti il concordato preventivo su base biennale, uno strumento che funziona sulla base di una proposta iniziale dell’Agenzia delle Entrate verso cui impegnarsi per i successivi due anni tributari, un beneficio esteso anche ai contribuenti non virtuosi (con punteggi ISA inferiori a 8) e che vincola l’Agenzia a formulare una proposta non superiore al 110 per cento del reddito dichiarato da questi contribuenti (cfr. A. Santoro, lavoce.info). In sostanza, il contribuente può dichiarare quello che vuole, intanto sarà ritenuto congruo nel limite superiore del 10 per cento. Un vero e proprio invito a evadere.
La Tax Compliance è uno degli obiettivi del PNRR e il Tax Gap dovrà essere ridotto al 15,8 per cento nel 2024 rispetto al 18,5 del 2019, un obiettivo che il governo Meloni ha tentato di ridurre all’atto della revisione del piano ricevendo il diniego da parte di Bruxelles.
La dichiarazione IVA precompilata è uno degli strumenti previsti dal piano per raggiungere questo obiettivo. Il periodo di sperimentazione è stato ulteriormente esteso a tutto il 2024, come disposto dal provvedimento prot. n. 11806 del 19 gennaio dall’Agenzia delle Entrate. L’Amministrazione si è presa più tempo perché ha ritenuto “opportuno consolidare e arricchire i dati precompilati della platea già individuata”, considerato che la stessa riguarda circa 2,4 milioni di operatori IVA. La modalità ‘precompilata’ era stata introdotta nel 2021, ancorché in prova, senza tuttavia prevedere un termine a tale sperimentazione che viene quindi prorogata per il secondo anno consecutivo. Verrà, si spera, il momento in cui si passerà alla versione definitiva. Per il resto, occorre attendere il previsto “potenziamento dei controlli” che chissà se mai avverrà.