L’Expo senza povertà non è Expo

16464465241_620804f964_k-831x560«Un anno fa la paro­la da asso­cia­re a Expo era “scan­da­lo”. Abbia­mo can­cel­la­to “scan­da­lo” e tra­sfor­ma­to que­sto even­to in un’opportunità». Ini­zia così il discor­so con il qua­le Mat­teo Ren­zi ha chiu­so la gior­na­ta di lavo­ro mila­ne­se “Expo del­le idee”. In clas­si­co sti­le Leo­pol­da, il rit­mo è scan­di­to da sedu­te ple­na­rie e lavo­ro a cir­ca qua­ran­ta tavo­li tema­ti­ci, dei qua­li ci si aspet­te­reb­be un bril­lan­te rac­con­to da par­te di chi tira le con­clu­sio­ni. Un rac­con­to sul­le cose che Expo dovrà lascia­re ai mar­gi­ni del­la mega­pia­stra e dei padi­glio­ni, a livel­lo cul­tu­ra­le e normativo.

Le paro­le ricor­ren­ti nel discor­so del pre­mier, inve­ce, sono “iden­ti­tà, occa­sio­ne, vin­ce­re, cor­re­re”. La rimo­zio­ne del­la pover­tà, del­la mise­ria, del­la fame è pres­soc­ché tota­le. Nei quin­di­ci minu­ti di discor­so sola­men­te un pas­sag­gio ha il corag­gio di pro­nun­cia­re “ingiu­sti­zia”, il mas­si­mo che si può chiedere:

Un’occasione per com­bat­te­re le ingiu­sti­zie glo­ba­li, pla­ne­ta­rie. Ma quan­te ingiu­sti­zie anche cia­scu­no di noi vive nel­la quo­ti­dia­ni­tà. Se la poli­ti­ca rinun­cia a com­bat­te­re le ingiu­sti­zie non è poli­ti­ca, è quotidianità.

Tut­to il resto è recu­pe­ro dell’identità ita­lia­na, occa­sio­ne per l’Italia di rilan­ciar­si e basta con la lista dei pro­ble­mi, per­ché i nostri impren­di­to­ri ci san­no fare, per­ché «dall’Europa si muo­ve qual­co­sa», per­ché il «rap­por­to euro-dol­la­ro è tor­na­to nor­ma­le», si apro­no oppor­tu­ni­tà gra­zie alla «cri­si del petro­lio». Infi­ne, imman­ca­bi­li, «le misu­re mes­se in cam­po dal­la poli­ti­ca» per le qua­li «non ci sono più ali­bi per nes­su­no» e gli altret­tan­to imman­ca­bi­li rac­con­ti dei bei tem­pi anda­ti da sin­da­co di Firenze.

Chis­sà se qual­che ali­bi può esse­re con­ces­so, inve­ce, ai sei milio­ni di nes­su­no (il 10% del­la popo­la­zio­ne) che in Ita­lia, a fine 2014, non riu­sci­va­no a soste­ne­re la spe­sa mini­ma per ali­men­ta­zio­ne, casa e vestiti.

Il rove­scia­men­to è tota­le nel­la chiu­su­ra, con la qua­le il pre­mier chie­de uno sfor­zo a tut­ti ver­so la Car­ta di Milano:

In que­sto sfor­zo non c’è sol­tan­to, sem­pli­ce­men­te, la gran­de que­stio­ne del cibo e del­la pos­si­bi­li­tà di nutri­re il pia­ne­ta: c’è la pos­si­bi­li­tà che il nostro Pae­se tor­ni a esse­re quel­lo per cui è sta­to volu­to da chi ci ha preceduto.

Una que­stio­ne sem­pli­ce, quel­la di nutri­re il pia­ne­ta, a con­fron­to del­lo sfor­zo gover­na­ti­vo di tor­na­re ad esse­re un gran­de paese.

L’Expo vola­no dell’economia, l’Expo vetri­na dell’Italia, l’Expo dei turi­sti non ser­vi­rà a nul­la. Ci andre­mo tut­ti volon­tie­ri, cer­ta­men­te, ma l’Expo svuo­ta­ta del­la pover­tà può dura­re sei mesi, e nul­la più. Ha fat­to bene Car­lin Petri­ni – con un inter­ven­to mol­to cri­ti­co – a mar­ca­re il discor­so par­lan­do di sof­fe­ren­za, di mor­te per fame, di mal­nu­tri­zio­ne, e a spin­ger­si fino a met­te­re in dub­bio «il libe­ro mer­ca­to appli­ca­to al cibo, che sta gene­ran­do uno scon­quas­so di pro­por­zio­ne bibli­che». Dovreb­be esse­re que­sta la mis­sio­ne dell’Italia nel dopo Expo: scon­fig­ge­re la fame, a casa nostra e a casa loro. «La guer­ra alla fame», l’avevamo chia­ma­ta, con­dot­ta da una vera e pro­pria «super­po­ten­za dell’alimentazione». Que­sta è la nostra iden­ti­tà che può diven­ta­re il nostro più impor­tan­te mar­chio nel mon­do tra­sfe­ren­do cono­scen­ze, com­pe­ten­ze, qua­li­tà e soste­ni­bi­li­tà, avvian­do coo­pe­ra­zio­ni vir­tuo­se con il sud del mon­do e con il sud dell’Europa, che sta al di là del Medi­ter­ra­neo. Una mis­sio­ne che rispon­de al dub­bio sul libe­ro mer­ca­to di Petri­ni, per­ché per esse­re svol­ta ha biso­gno di un ripen­sa­men­to del­le nostre prio­ri­tà e quin­di dei nostri inve­sti­men­ti, trop­po spes­so mili­ta­ri­sti e musco­la­ri. Qua­si immo­ra­li, per chi non rimuo­ve la fame e la pover­tà dal­la pro­pria azio­ne politica.

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