«Un anno fa la parola da associare a Expo era “scandalo”. Abbiamo cancellato “scandalo” e trasformato questo evento in un’opportunità». Inizia così il discorso con il quale Matteo Renzi ha chiuso la giornata di lavoro milanese “Expo delle idee”. In classico stile Leopolda, il ritmo è scandito da sedute plenarie e lavoro a circa quaranta tavoli tematici, dei quali ci si aspetterebbe un brillante racconto da parte di chi tira le conclusioni. Un racconto sulle cose che Expo dovrà lasciare ai margini della megapiastra e dei padiglioni, a livello culturale e normativo.
Le parole ricorrenti nel discorso del premier, invece, sono “identità, occasione, vincere, correre”. La rimozione della povertà, della miseria, della fame è pressocché totale. Nei quindici minuti di discorso solamente un passaggio ha il coraggio di pronunciare “ingiustizia”, il massimo che si può chiedere:
Un’occasione per combattere le ingiustizie globali, planetarie. Ma quante ingiustizie anche ciascuno di noi vive nella quotidianità. Se la politica rinuncia a combattere le ingiustizie non è politica, è quotidianità.
Tutto il resto è recupero dell’identità italiana, occasione per l’Italia di rilanciarsi e basta con la lista dei problemi, perché i nostri imprenditori ci sanno fare, perché «dall’Europa si muove qualcosa», perché il «rapporto euro-dollaro è tornato normale», si aprono opportunità grazie alla «crisi del petrolio». Infine, immancabili, «le misure messe in campo dalla politica» per le quali «non ci sono più alibi per nessuno» e gli altrettanto immancabili racconti dei bei tempi andati da sindaco di Firenze.
Chissà se qualche alibi può essere concesso, invece, ai sei milioni di nessuno (il 10% della popolazione) che in Italia, a fine 2014, non riuscivano a sostenere la spesa minima per alimentazione, casa e vestiti.
Il rovesciamento è totale nella chiusura, con la quale il premier chiede uno sforzo a tutti verso la Carta di Milano:
In questo sforzo non c’è soltanto, semplicemente, la grande questione del cibo e della possibilità di nutrire il pianeta: c’è la possibilità che il nostro Paese torni a essere quello per cui è stato voluto da chi ci ha preceduto.
Una questione semplice, quella di nutrire il pianeta, a confronto dello sforzo governativo di tornare ad essere un grande paese.
L’Expo volano dell’economia, l’Expo vetrina dell’Italia, l’Expo dei turisti non servirà a nulla. Ci andremo tutti volontieri, certamente, ma l’Expo svuotata della povertà può durare sei mesi, e nulla più. Ha fatto bene Carlin Petrini – con un intervento molto critico – a marcare il discorso parlando di sofferenza, di morte per fame, di malnutrizione, e a spingersi fino a mettere in dubbio «il libero mercato applicato al cibo, che sta generando uno sconquasso di proporzione bibliche». Dovrebbe essere questa la missione dell’Italia nel dopo Expo: sconfiggere la fame, a casa nostra e a casa loro. «La guerra alla fame», l’avevamo chiamata, condotta da una vera e propria «superpotenza dell’alimentazione». Questa è la nostra identità che può diventare il nostro più importante marchio nel mondo trasferendo conoscenze, competenze, qualità e sostenibilità, avviando cooperazioni virtuose con il sud del mondo e con il sud dell’Europa, che sta al di là del Mediterraneo. Una missione che risponde al dubbio sul libero mercato di Petrini, perché per essere svolta ha bisogno di un ripensamento delle nostre priorità e quindi dei nostri investimenti, troppo spesso militaristi e muscolari. Quasi immorali, per chi non rimuove la fame e la povertà dalla propria azione politica.