[vc_row][vc_column][vc_column_text]Quando con la sua uscita dal gruppo del Pd per la prima volta si è iniziato a parlare di un approdo di Pietro Grasso alla costituenda lista unica di sinistra, la notizia è stata accolta con favore non solo per l’alto profilo personale, ma anche per l’indubbio vantaggio di poter schierare una figura estranea al chiacchiericcio politicista, insomma qualcuno che non è costretto a passare le sue giornate a parlare di alleanze. Troppo fresco e bruciante, infatti, è il ricordo della campagna per le politiche di Italia Bene Comune nel 2013, quando il candidato premier Pier Luigi Bersani, un po’ per colpa dei media ma onestamente anche per colpa sua, ha passato più tempo a parlare di Monti e di Casini che a parlare di programmi e di idee.
Passato poco più di un mese dall’assemblea del 3 dicembre a Roma che ha incoronato Grasso, purtroppo, quel profilo “alto e non politicista” rischia già di sfumare, coperto dalla quotidiana cortina fumogena di dichiarazioni sulle alleanze. Dichiarazioni di Grasso, a cui si aggiungono quelle di Bersani, di D’Alema, di Boldrini, di Rossi, eccetera: e così, invece di aver risolto un problema, ne abbiamo una mezza dozzina.
È meglio esser chiari su questo punto e quindi dirlo nel modo più diretto possibile: state zitti. State zitti su queste faccende, che interessano solo i giornali e la bolla dentro alla bolla della bolla della politica, ovvero quasi a nessuno, mentre in compenso fanno incazzare e molto un sacco di elettori. Parlate d’altro: l’Italia è un Paese in declino, pieno di problemi, non c’è che l’imbarazzo della scelta. Oppure, anche se animati dai migliori propositi, questo progetto lo ammazzerete.
Ci sarebbe poi anche una questione politica più di fondo, nella vicenda: notoriamente, Liberi e Uguali non è un partito. Non ha un segretario, non ha una classe dirigente eletta durante un congresso democraticamente svolto. LeU nasce dall’incontro di tre soggetti, ognuno con una sua autonomia, con Pietro Grasso in primis e con altri in seguito, politici e non. Poiché non risulta da un processo democratico, si deve reggere su un patto di fiducia, alla pari fra tutti i contraenti, o semplicemente non regge. Detto in parole più semplici: questo non è il Pd del 2009, Mdp non è la mozione che ha vinto il congresso e che ha la maggioranza di LeU, Bersani non ne è il segretario, e di conseguenza non lo sono nemmeno D’Alema, Rossi, e chiunque altro che possa venire in mente che solitamente è prodigo di esternazioni. A voler essere precisi sono i tre partiti fondatori di LeU, ad avere segretari e organismi legittimati da percorsi democratici: tutto il resto del progetto si basa su un atto di fede, e quella fede va rispettata. Vale per le alleanze come per le proposte, visto che negli ultimi giorni si è assistito a una preoccupante escalation, una gara a chi la spara più grossa senza precedentemente averne mai discusso con nessuno.
Certo, la soggettività politica non è cosa che dipende dai congressi: chi ce l’ha ce l’ha, e certamente ce l’hanno tutti i già citati, per la loro storia, per il loro seguito, per l’importanza che le persone attribuiscono alle loro parole e ai loro contributi. Ma appunto per questo la loro responsabilità è doppia, e doppia deve essere l’attenzione con cui dichiarano su questioni delicate. Mentre invece a volte sembra essere la metà della metà, spiace dirlo.
C’è anche una questione di percezione: questo progetto deve riunire la sinistra dispersa e quelli che per usare la metafora proprio di Bersani “sono andati nel bosco”, certo, ma se si pensa che possa limitarsi a fare questo andiamo incontro non a una delusione, ma a un disastro. Perché da quando ha iniziato a disperdersi ad oggi è cambiato tutto, tutte le culture politiche precedenti sono state spazzate via e non torneranno indietro semplicemente riproponendo quel che c’era. Vale anche a proposito della composizione delle liste, con tutto il rispetto per i molti e matematicamente troppi uscenti di Mdp, ma di certo non è pensabile che Liberi e Uguali sia un’operazione di ricollocamento di una ridotta dell’ex maggioranza che governava il Pd prima di Renzi. Deve emergere, invece, un forte profilo innovativo, che non soffochi quello ereditario ma certamente sia in grado di fare la differenza. E per far questo, le liste — e i titoli dei giornali pure — dovrebbero rispecchiare questa necessità dimezzando le solite voci e creando il doppio dello spazio a quelle che mancano.
Ci siamo chiamati Liberi e Uguali perché liberi e uguali lo siamo tutti, non perché qualcuno è libero e gli altri sono uguali.
Se tutte queste condizioni saranno rispettate, e se con le assemblee di stasera chiuderemo la discussione sulle alleanze rispettando quella che sarà la decisione della base, questo progetto potrà occuparsi di nuovo di coltivare il suo grande potenziale. Altrimenti fra due mesi saremo qui a chiederci cosa è andato storto, e alcuni di noi ricorderanno questo momento ma ahimè, sarà troppo tardi per rimediare.[/vc_column_text][/vc_column][/vc_row]