[vc_row][vc_column][vc_column_text]«La nostra parte l’abbiamo fatta». Comincia così, con queste parole pronunciate dalla ministra Lamorgese, un articolo pubblicato oggi da Repubblica con il quale si annuncia il fallimento del tavolo congiunto tra Italia e Libia che avrebbe dovuto insediarsi ai primi di novembre, cioè allorquando l’accordo tra i due paesi è stato “tacitamente” rinnovato, con l’obiettivo di modificarne i passaggi più critici, soprattutto quelli relativi alla detenzione in campi di concentramento dei richiedenti asilo.
Rinnoviamo perciò l’accordo così com’è, con una controparte che ha già dimostrato di non essere in grado di garantire la tutela dei diritti umani e con la quale, al momento, non siamo neppure in grado di interloquire. La domanda è semplice: non sarebbe stato meglio non rinnovare l’accordo?
In Libia sono ancora detenute arbitrariamente (in veri e propri campi di concentramento, è inutile che ce lo neghiamo) migliaia di persone. Quotidianamente sottoposte a violenze, torture, stupri. I report, le indagini, le sentenze, le testimonianze sono oramai innumerevoli e disegnano un quadro di estesa e reiterata violazione dei diritti umani.
Si tratta di un quadro per il quale non sarebbe neppure inimmaginabile che, in un futuro prossimo, venga richiesto e costituito un tribunale penale internazionale, tanto numerose e tanto gravi sono le violazioni.
L’Italia, chiamata a risponderne, dirà «noi la nostra parte l’abbiamo fatta», nascondendo sotto il tappeto la responsabilità di aver delegato a non ben precisate autorità libiche quelli che, di fatto, sono respingimenti collettivi verso un paese in cui vengono compiuti sistematicamente atti inumani e degradanti.
La svolta di cui tanto si parla, ha scritto Giuseppe Civati, «si deve vedere, anche e soprattutto, sugli accordi con la Libia e sui decreti Salvini. Tutto il resto è retorica da campagna elettorale. E’ ghirigoro, gherminella, è dirsi cambiati e rimanere tali e quali».[/vc_column_text][/vc_column][/vc_row]