[vc_row][vc_column][vc_column_text css=”.vc_custom_1508927689716{margin-top: 20px !important;}”][/vc_column_text][vc_column_text]Il 26 luglio 1609, l’astronomo inglese Thomas Harriot puntò un cannocchiale verso la luna… e non capì nulla di ciò che aveva visto. Come ci testimoniano alcuni suoi disegni, solo l’anno successivo, dopo la lettura del galileiano Sidereus nuncius, riuscì a dare un senso a quelle osservazioni. Perché Galileo era riuscito a capire ciò che era sfuggito a Harriot? Perché il suo sguardo era guidato da un’ipotesi teorica, esattamente ciò che era mancato all’inglese: Galileo sapeva cosa cercare.
Temiamo che il MIUR, quando dovrà interpretare gli esiti della “sperimentazione” del liceo breve, si troverà nella stessa condizione occorsa a Harriot in quella lontana estate del 1609. Il decreto, dal nome impegnativo di Piano nazionale di innovazione ordinamentale per la sperimentazione di percorsi quadriennali di istruzione secondaria di secondo grado, consta infatti di quattro striminzite paginette, che dispensano una manciata di vaghe indicazioni su come procedere per candidarsi alla “sperimentazione”, precisando che va garantito “l’insegnamento di tutte le discipline previste dall’indirizzo di studi di riferimento, in modo da assicurare alle studentesse e agli studenti il raggiungimento degli obiettivi specifici di apprendimento e delle competenze previsti per il quinto anno di corso, entro il termine del quarto anno”. Un liceo.zip affidato all’inventiva di cento scuole, cui si richiede la disponibilità a partecipare “a monitoraggi qualitativi regionali e nazionali” non meglio identificati. Cento scuole che potranno attivare ciascuna una sola classe prima sperimentale “previa presentazione di specifica domanda di iscrizione da parte dei genitori degli studenti”.
Dunque, nessuna ipotesi teorica sui nuclei essenziali dei saperi oggetto dei nuovi percorsi di formazione, nessun controllo sul campione che frequenterà la “sperimentazione”, monitoraggi ancora da inventare. Valore taumaturgico assegnato a generiche “tecnologie didattiche innovative”, mentre i pochi suggerimenti metodologici esplicitati indirizzano verso attività altamente time consuming (didattica laboratoriale e metodologia CLIL).
Su un solo punto il MIUR dimostra di avere idee chiare e distinte, il punto k) dei “Requisiti di partecipazione”, che recita: “dichiarazione di mancanza, per la progettualità, di oneri aggiuntivi a carico del bilancio dello Stato con vincolo ad operare nell’ambito delle risorse finanziarie e umane disponibili”. Dunque, ancora una volta, i costi dell’”innovazione” ricadranno sulle famiglie e sui volenterosi sperimentatori, cui non verranno riconosciuti il tempo e la professionalità spesi a progettare e realizzare ciò che dovrebbe essere compito del ministero concepire e mettere a punto, in stretta collaborazione con le associazioni professionali e disciplinari degli insegnanti (e degli studenti, nella scuola secondaria di secondo grado), nel contesto di un ponderato riordino dei cicli, omogeneo e sperimentabile su larga scala.
Qui siamo invece all’improvvisazione di una scuola on demand, da progettare in un paio di settimane, che pare avere un unico scopo: consentire a chi vuole di abbreviare ii percorso formativo — che sempre meno formativo sarà, perché risulterà inevitabilmente impoverito — per correre a competere su scala globale, in possesso o di vuote competenze o di pure nozioni, perché le due cose, nel liceo.zip che emerge dall’avviso ministeriale, saranno difficilmente conciliabili.
Su quale base avverrà la discussione dei risultati, nel 2023? Si deciderà di estendere a livello nazionale la proposta di Busto Arsizio o quella di Caltanissetta? Cosa ne sarà del titolo di studio di chi sarà uscito/a dalle sperimentazioni bocciate? Come si potrà valutare l’efficacia di ciò che è stato sperimentato su un campione casuale, visto che saranno le famiglie a candidare i figli e le figlie alla partecipazione? Non si rischierà che alla “sperimentazione” partecipino solo coloro che hanno ampio accesso a risorse formative e a strumenti tecnologici già prima e fuori della scuola e dunque costituiranno un campione scarsamente rappresentativo della società nel suo insieme? Stiamo forse andando verso una scuola a due velocità, sanzione ultima di una società sempre più atomizzata e diseguale?
Maria Laura Marescalchi — Comitato Modena Possibile[/vc_column_text][/vc_column][/vc_row]