[vc_row][vc_column][vc_column_text]Raffaele Simone in un articolo pubblicato sull’Espresso e intitolato: “Ma la battaglia sul genere delle parole ha davvero senso?” riporta l’acceso dibattito che da tempo si è scatenato in Francia contro gli stereotipi sessisti di una lingua declinata in larga parte al maschile, in particolare per quanto riguarda i nomi che fanno riferimento a funzioni, professioni e titoli.
In Italia la battaglia viene portata avanti da tante donne e dai movimenti femministi e ha il suo volto istituzionale più noto in Laura Boldrini, che è stata spesso bersaglio di critiche e accusata di perseguire una battaglia residuale e secondaria rispetto ad altre ben più importanti e urgenti in tema di uguaglianza.
Lo stesso Simone sembra giungere alla stessa conclusione, chiosando: ”L’accademica di Francia Florence Délay forse dice il giusto quando osserva che «prima che pareggiare la lingua, sarebbe bene uniformare i salari»”.
In realtà sarebbe da osservare come la lingua non faccia altro che parlarci della realtà che ci circonda, che le parole fanno parlare le cose, le situazioni e, appunto, le disparità.
Che se il mondo delle professioni o delle istituzioni è declinato al maschile è perché in larga parte sono ancora mondi ad appannaggio quasi esclusivamente degli uomini.
Quindi certo che bisogna occuparsi della parità salariale, ma senza cadere nell’errore di pensare che le questioni non siano strettamente legate e non vedere che impegnarsi per l’una, rende più forte anche l’altra battaglia.
Ad ogni modo è motivo di orgoglio per noi vedere che questo 2018 sia iniziato all’insegna del dibattito sulla parità salariale. Insieme a Pippo Civati ci battiamo da anni affinché questo tema entri nel dibattito nazionale. Nella legislatura appena conclusa, abbiamo depositato due proposte di legge, che puntano a questo obiettivo.
Il divario retributivo è un fenomeno complesso e diffuso, secondo gli ultimi dati del World Economic Forum l’Italia è al 90esimo posto come partecipazione alla forza lavoro e al 103esimo posto per salario percepito. A parità di mansioni gli uomini guadagnano di più delle donne molto più di quanto non avvenga in altri paesi, in palese violazione dell’articolo 37 della Costituzione che prevede che la donna lavoratrice abbia gli stessi diritti e, a parità di lavoro, la stessa retribuzione, che spettano al lavoratore.
Al fine di garantire tale principio le misure da mettere in atto sarebbero molte, intervenendo su sanzioni e incentivazioni, ma per intraprendere tale strada in modo veloce e relativamente semplice si potrebbe iniziare a incidere sul tema della trasparenza.
La prima delle nostre proposte, infatti, depositata già nella primavera del 2015, chiede di intervenire affinché le imprese e le organizzazioni siano tenute a garantire la trasparenza e la pubblicità della composizione e della struttura salariale della remunerazione dei propri dipendenti, garantendo la riservatezza dei dati personali, ma comunicando con chiarezza esclusivamente l’appartenenza di genere e la composizione salariale. In questo modo di ogni azienda si può facilmente conoscere quanti uomini e donne siano assunti e quale sia il loro livello di retribuzione.
La seconda proposta di legge invece prevede che lo Stato diventi il primo testimone nella battaglia contro il divario salariale. Proponiamo infatti la modifica dell’articolo 80 del codice degli appalti, in modo tale da aggiungere tra le cause di esclusione dalla partecipazione alle gare anche il mancato rispetto della parità salariale tra lavoratori e lavoratrici.
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