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Altre migliaia di sbarchi di clandestini in queste ore.
Altri affari per scafisti e cooperative, altri problemi per gli italiani.
#STOPINVASIONE con la Lega si può.
Stop. Questa storia si chiude qua. Ora a Roma si cambia musica. Chiusura dei campi rom, censimento di tutte le aree abusive e le tendopoli. Chi si dichiara senza reddito e gira con auto di lusso è fuori. Chi chiede soldi in metropolitana, magari con minorenni al seguito, è fuori.
Mentre Matteo Salvini e Beppe Grillo («è fuori», dice, forse pensa di condurre un reality show) pubblicavano su social e blog le precedenti parole, l’ISTAT, il più rinomato e affidabile istituto di statistica del nostro paese, confermava — per l’ennesima volta — che la popolazione straniera residente in Italia, pari a circa 5 milioni di individui (poco più dell’8% della popolazione italiana), è sostanzialmente stabile a partire dal 2014. E, notizia questa sì preoccupante, il totale della popolazione presente in Italia subisce una flessione pari a 76mila unità. Un calo «determinato dalla flessione della popolazione di cittadinanza italiana (96.981 residenti in meno) mentre la popolazione straniera aumenta di 20.875 unità»: nemmeno i nuovi arrivi sono sufficienti a compensare il calo di residenti e il parallelo invecchiamento della popolazione.
Ritorniamo ai numeri: 20.875 unità su 60.589.445 di persone residenti. La popolazione straniera è aumentata, rispetto al totale della popolazione, dello 0,03% (gli zeri sono giusti).
Quando Matteo Salvini parla di invasione e sostituzione etnica, sta parlando dello 0,03%.
Quando Virginia Raggi chiede una «moratoria sui nuovi arrivi», sta parlano dello 0,03%.
Quando Marco Minniti dice che «l’accoglienza ha un limite», sta parlano dello 0,03%.
Le ragioni del modestissimo aumento sono da ricercarsi soprattutto nelle acquisizioni di cittadinanza (oltre 200mila nel 2016) e nei “movimenti secondari”, cioè quelli di cittadini stranieri che hanno continuato i propri percorsi migratori o hanno fatto ritorno in patria. Due fenomeni che dimostrano, da un lato, la capacità di inclusione del nostro paese e, dall’altro lato, ribadiscono la vocazione storica e geografica della nostra penisola, protesa nel Mediterraneo e orientata verso meridione.
La capacità di inclusione si deduce anche da un altro dato, che nessuno mai cita. Mentre Salvini e le telecamere di Rete 4 inquadrano sempre persone con la pelle più scura della nostra, «gli stranieri residenti in Italia sono cittadini di un Paese europeo in oltre il 50% dei casi (oltre 2,6 milioni di individui), di cui poco più del 30% (1,5 milioni) di un Paese dell’Unione». Le prime cinque nazionalità sommano il «50,6% (2.553.936)» del totale. «La collettività più numerosa è quella rumena con 1.168.552 residenti, il 23,2% del totale. Seguono i cittadini dell’Albania (448.407, 8,9%), del Marocco (420.651, 8,3%), della Cina (281.972, 5,6%) e dell’Ucraina (234.354, 4,6%)». Persone delle quali nemmeno ci accorgiamo più, sulle quali il nostro sguardo non indugia nemmeno una frazione di secondo e che, presto o tardi, acquisiranno la cittadinanza italiana, se lo vorranno.
Ecco perché quando parliamo di stranieri e di migranti parliamo di un fenomeno molto più ampio di quello che ci viene raccontato da media e politici sciacalli. Parliamo di un fenomeno che è profondamente parte della nostra società. Quando parliamo, invece, di richiedenti asilo e rifugiati, parliamo di una questione numericamente marginale (ma umanamente importantissima) all’interno di questo vasto universo composto, quest’ultimo, in larghissima parte da persone pienamente integrate, che lavorano, producono reddito, inaugurano imprese, fanno figli, mandano i propri figli a scuola, invecchiano, soffrono, muoiono. Sì, invecchiano e muoiono anche loro, come tutti noi. Loro, purtroppo, lo fanno senza aver mai potuto votare nemmeno per il sindaco, o senza che i propri figli possano avere da subito la cittadinanza italiana anche se nati in Italia (e quindi pari diritti e pari doveri dei loro compagni di classe).
Ecco perché abbiamo bisogno di una riforma strutturale (come quella proposta da Andrea Maestri) della legislazione italiana in materia (che si chiama ancora “Bossi-Fini”) e di costruire un sistema di accoglienza che sostituisca l’approccio emergenziale, i grandi centri, i soldi sottratti alle casse pubbliche con un modello di accoglienza diffusa, rendicontata, trasparente, parametrata alla popolazione locale, capace di garantire degli strumenti perché il rifugiato possa rendersi autonomo e capace anche di generare opportunità occupazionali qualificate per le comunità che scelgono questa strada.[/vc_column_text][/vc_column][/vc_row]