C’è scritto a chiare lettere. Nell’ultima relazione annuale della Direzione Nazionale Antimafia si dice: “sembra coerente l’adozione di una rigorosa e chiara politica di legalizzazione della vendita della cannabis, accompagnata da una parallela azione a livello internazionale, e, in particolare europeo, che consenta la creazione, in prospettiva, di una più ampia aerea in cui il fenomeno sia regolato in modo omogeno”.
Il più importante organismo nazionale per il contrasto alle mafie e al terrorismo si dichiara “favorevole alla legalizzazione prendendo atto sulla base di numeri, fatti, indagini e processi in nostro possesso — si sottolinea nella Relazione — del fallimento delle politiche proibizioniste”. “Questo Ufficio, conferma, — prosegue ancora la Dna — anche alla luce delle nuove questioni esaminate e dei nuovi dati pervenuti, la necessità di concentrare le risorse dello Stato finalizzate alla repressione dei reati su fenomeni più gravi ed allarmanti del traffico di droghe leggere”. E forse non è un caso che, mentre i mercati di eroina e cocaina appaiono stabili, viene segnalato in forte ascesa quello delle droghe sintetiche e, appunto, della cannabis. In sostanza mentre se ne discute in Parlamento (o meglio, si fa di tutto per non discuterne) le mafie colgono al balzo l’attendismo istituzionale per infilarci i suoi lauti guadagni. Come succede sempre. Come è sempre successo.
Un giro d’affari, quello delle droghe, che “a livello globale superano i 560 miliardi di euro e che, in Italia, è di circa 30 miliardi di euro (pari a circa il 2% del PIL nazionale). Numeri dimostrativi dell’enorme rilievo macro-economico del narcotraffico che — secondo la Dna — confermano che la partita del contrasto al narcotraffico rimane decisiva”.
Oltre alla retorica su Falcone e Borsellino forse sarebbe il caso che qualcuno dicesse la sua su un provvedimento che ormai è popolarmente riconosciuto come fondamentale nella lotta alle mafie. Ma ci vuole scienza, ci vuole costanza. E coraggio.