Lo Stato di Diritto, alla prima occasione utile, batte il ministro eversivo, non gli fa proprio toccare palla, costringendolo a sputare veleno contro le istituzioni e i poteri dello Stato e a minacciare improbabili e illegittime espulsioni (già di fatto escluse dalla stessa Procura) nella nuova forma istituzionale della diretta Facebook.
L’ordinanza della Giudice per le Indagini Preliminari di Agrigento si conforma, letteralmente, ai precedenti in materia (quello più articolatamente motivato lo avevamo ricordato nei giorni scorsi, dove avevamo anche spoilerato, come si dice ora, l’esito del procedimento) riportando le stesse identiche premesse della sentenza del Tribunale di Agrigento sulla Cap Anamur, vicenda analoga a quella della Sea-Watch 3.
Le convenzioni internazionali prevalgono ai sensi dell’art. 10 della Costituzione sul diritto interno nella gerarchia delle fonti, quella che si legge all’inizio di ogni manuale di diritto (avendone uno da consultare).
Se le convenzioni internazionali ratificate impongono di salvare persone in mare, e precisano che il salvataggio si conclude solo con lo sbarco nel POS, Place of Safety, o Luogo di Sicurezza, più vicino, non c’è legge ordinaria o decreto “sicurezza” che le possa superare.
Il ministro bulimico può promulgarne mille e chiamarli come vuole ma rimarrà sempre allo stesso punto, dietro le convenzioni internazionali.
Se il comandante di una nave segue, come ha fatto la capitana Carola Rackete, le disposizioni delle convenzioni internazionali, ha il dovere, non il diritto ma il dovere, ed è sanzionata penalmente se non adempie a questo dovere, di sbarcare le persone raccolte nel POS più vicino, che deve essere un “porto sicuro”, non certo in Libia o in Tunisia che lo stesso ministero degli affari esteri, oltre a tutte le istituzioni internazionali, definisce luoghi non sicuri.
Il suo comportamento è quindi conforme al diritto, e la eventuale violazione di norme od ordini a questo punto palesemente illegittimi (perché contrari al diritto internazionale) è in ogni caso scriminata dall’art. 51 codice penale, che appunto esclude la punibilità, fra l’altro, se il fatto è commesso in adempimento di un dovere imposto da una norma giuridica.
Se in diritto la fattispecie era evidente, non era però così scontato che qualcuno, nel caso la GIP di Agrigento, applicasse le norme, a causa della enorme pressione politica e mediatica che investe la vicenda.
Quindi, sì, viviamo ancora in uno Stato di Diritto, ma il fatto che quotidianamente se ne possa dubitare e che qualcuno cerchi quotidianamente di minarne le basi ci deve comunque preoccupare.
Ci deve preoccupare che alla capitana Rackete vengano rivolti insulti e minacce violentissimi in porto senza che nessuno identifichi e persegua penalmente gli autori, ci deve preoccupare che una fotografia della capitana Rackete durante lo scatto delle foto segnaletiche esca dai locali della PG e finisca online su profili e gruppi di estrema destra, ci deve preoccupare che parlamentari della Lega diffondano fotografie fake su presunti banchetti degli altri parlamentari accorsi sulla SeaWatch3.
Ci deve preoccupare che il ministro dell’interno e vice premier, nell’immediatezza della pronunzia, diffonda un video dichiaratamente e indubitabilmente eversivo.
Ci deve preoccupare che l’altro vicepremier, quello che “studia” misure, insista sulla confisca della nave (perché “provoca” il nostro Paese e le nostre leggi, cumulando l’ignoranza grammaticale a quella giuridica), che è illegittima a priori proprio per i motivi sopra esposti, perché non c’è reato, non c’è motivo alcuno.
Ci dobbiamo preoccupare ma con la consapevolezza che lo Stato di Diritto regge, anche con queste maggioranze, con questi contratti di governo e con questi personaggi degni di una fiction di serie C e indegni delle cariche che ricoprono.