«Un’alluvione di nuovi ricorsi giudiziari non sarebbe nell’interesse di nessuno. Non sarebbe nell’interesse dei ricorrenti, perché dovrebbero sopportare i costi e i disagi di fare causa; non sarebbe nell’interesse del ministero di giustizia, perché dovrebbe sopportare i costi e i disagi di resistere nelle cause; non sarebbe nell’interesse dell’Employment Tribunal[1], perché le cause andrebbero a caricare di nuovo contenzioso i giudici».
Sarà perché l’Inghilterra è la patria dell’empirismo filosofico, sta di fatto che a pronunciare queste parole, nel 2013, è stato il ministro della giustizia del Regno Unito. Annunciava un atto di moratoria che consentisse a una particolare categoria di lavoratori di presentare una domanda amministrativa per ottenere la pensione, anziché fare causa al ministero. La moratoria, continuava il ministro, gli avrebbe dato anche il «respiro» per disciplinare per il futuro in modo organico il regime pensionistico per questi lavoratori.
La particolare categoria a cui si riferiva erano i recorder, magistrati non professionali con competenze penali, nominati, «all’occorrenza», da Sua Maestà su raccomandazione del Lord Chancellor, tra persone qualificate che abbiano acquisito da almeno dieci anni il titolo di avvocato. Era accaduto che uno di loro, Dermod Patrick O’Brien, cessato dal servizio per raggiunti limiti di età, avesse fatto causa al ministero per avere la pensione. Il giudice aveva sollevato questione pregiudiziale europea e la Corte di Giustizia, nel 2012, aveva riconosciuto che il recorder era un lavoratore, e pertanto il giudice inglese doveva verificare se esistevano «ragioni obiettive» per escludere questa categoria dalla direttiva europea sul lavoro a tempo parziale (in quanto i recorder in parte svolgono la funzione di avvocato, in parte la funzione di giudice – non sono magistrati “professionali”, cioè, perché possono svolgere anche la professione di avvocato). Tornato in patria O’Brien si vedeva riconoscere la pensione dal suo giudice e a quel punto si poneva la questione, per il ministro della giustizia, di tutti gli altri recorder che avevano mandato avanti O’Brien. Da qui la misura della moratoria.
Strani questi inglesi – avrete pensato -, fare svolgere le funzioni di giudice agli avvocati è una contraddizione in termini. Se l’avete pensato e avete tirato un respiro di sollievo rassicurandovi perché in Italia, invece, i giudici fanno i giudici e gli avvocati fanno gli avvocati, cercate adesso di mettervi comodi: succede anche qui.
In Italia c’è un piccolo esercito di 3.800 magistrati onorari che svolgono le stesse funzioni giurisdizionali dei magistrati di professione (che invece fanno solo i magistrati, per intenderci), senza i quali l’agonizzante giustizia italiana potrebbe dichiarare fallimento. Qui parliamo dei giudici onorari di tribunale (GOT) e dei vice procuratori onorari (VPO), introdotti nell’ordinamento giudiziario nel 1998 (rispettivamente con funzioni giudicanti e requirenti presso i tribunali, con competenze civili e penali). Anziché Sua Maestà, li nomina il ministro della giustizia, conformemente a delibera del Consiglio Superiore della Magistratura, non in modo discrezionale (come nel Regno Unito), ma in base a un metodo obiettivo: un concorso per titoli (non per esami, come i magistrati di professione). In origine la legge prevedeva un mandato di tre anni, prorogabile al massimo una volta. Ma in Italia si va avanti (o si resta fermi, a seconda dei punti di vista), con le proroghe, e i magistrati onorari sono diventati lavoratori a tempo indeterminato. Attenzione: indeterminato perché il termine viene spostato ogni anno a quello successivo. Il prossimo, il 31 dicembre 2015. Non hanno previdenza, assistenza per malattia, maternità, ferie, niente di niente, perché per lo Stato italiano non sono lavoratori, ma funzionari “onorari”. Sia chiaro, i magistrati onorari esistevano già prima del 1998. Nell’Assemblea Costituente Giovanni Leone usava questa definizione: «è una funzione che si presta non come attività professionale, ma come una partecipazione spontanea che esce dalle normali occupazioni della propria vita». Di fatto non è più così. Il titolo balzacchiano che li definisce “onorari”, è un’etichetta falsa, perché la maggior parte di essi vive del compenso riconosciuto per svolgere le funzioni (e i tribunali sopravvivono anche grazie al loro lavoro). La disciplina chiama il compenso “indennità” (non retribuzione, che spetterebbe a un lavoratore in quanto tale). Si tratta di un gettone di presenza giornaliero. Per rendere l’idea di quanto guadagni, viene in mente il caso di quel VPO identificato presso un ufficio dell’agenzia delle entrate con la carta d’identità, che alla voce “professione” riportava solo “magistrato” (non tutte le anagrafi a suo tempo registravano sul documento il codice “magistrato onorario”). Il funzionario del fisco, vedendo al terminale che l’interessato aveva un reddito annuo di ventimila euro, era già pronto a denunciarlo per falso ideologico, perché era impossibile che un “magistrato” avesse un reddito così basso. Chiamò un ispettore di polizia, che dopo avere controllato, lo rassicurava: si trattava di un magistrato onorario. Ventimila euro, si badi, come si è già detto, senza che lo Stato versi i contributi per la sua previdenza.
L’etichetta è diventata la foglia di fico che serve a nascondere la mancanza di ogni tutela dei lavoratori (è l’ultima preoccupazione, ma non beneficiano nemmeno dei buoni pasto — d’altronde, spesso il pasto lo saltano, visto che le udienze terminano nel pomeriggio).
Attualmente la maggior parte di loro svolge le funzioni a tempo pieno e semipieno. Alcuni, visto che la legge glielo consente, svolgono anche la professione di avvocato, altri sono dipendenti della Pubblica Amministrazione (svolgono le funzioni giurisdizionali durante le ferie o il sabato, o durante il permesso previsto per legge). Alcuni sono bravi, altri meno. Dopo il tirocinio i magistrati di professione dovrebbero valutare se siano o no idonei. Ed è previsto un procedimento disciplinare per revocarli se si dimostrano inidonei durante il servizio. La legge, insomma, prevede un sistema che garantisca la qualità. Adesso anche la loro responsabilità civile, al pari di quella dei magistrati di professione (come rilevava l’altro giorno un mio collega, con la stessa soglia di responsabilità della «metà dell’annualità dello stipendio»: a parte che per legge il nostro non è uno stipendio – per il legislatore “retribuzione” è una parola tabù -, è di tutta evidenza che per un magistrato di professione subire il taglio di metà dello stipendio significa mantenere un reddito dignitoso, per i magistrati onorari significa la fame).
Ad ogni modo i magistrati onorari sono diventati magistrati precari a basso onorario. Precari come tanti altri — direte voi -, ma con l’aggravante che essi esercitano la funzione di ius dicere. Io, personalmente, tremerei a sapere che sto chiedendo giustizia a un precario (tra l’altro hanno anche funzione di giudice del lavoro, paradosso dentro il paradosso). Avete presente la stella polare dell’indipendenza, autonomia, terzietà della magistratura? I padri costituenti hanno modulato tutta la disciplina della magistratura in funzione di questo paradigma. Anzi, hanno previsto, seppure laconicamente, la figura del magistrato onorario anche a questo scopo. Citiamo un altro deputato costituente, Ferdinando Targetti: «[…] sin dai tempi del Mortara si sosteneva che l’espediente migliore per facilitare la risoluzione del problema del miglioramento delle condizioni economiche dei magistrati sarebbe stato quello della riduzione del loro numero – specie nei gradi inferiori – sostituendoli con magistrati onorari». A dire che il miglioramento delle condizioni economiche garantisce indipendenza e terzietà. Invece l’impiego dei magistrati onorari è diventato illegittimo per l’esigenza di affrontare un contenzioso sempre maggiore, ed essi prestano il servizio non più “spontaneamente”, al di fuori delle «normali occupazioni della propria vita». Le funzioni giurisdizionali sono diventate l’unica — o la principale -, occupazione della loro vita (attenzione: anche il Regno Unito non brilla se i recorder si sono infine rivolti a un giudice per ottenere la pensione, tanto è vero che la Corte di Giustizia europea, nella sentenza del 2012, ha evidenziato che il governo ha fatto sempre più ricorso, col tempo, ai recorder).
Finalmente il Parlamento si appresta a varare la riforma della magistratura onoraria (ma state ancora comodi, se avete trovato la posizione giusta). Il Governo ha depositato un disegno di legge in Senato (la relazione di accompagnamento dà atto che sono già in corso di predisposizione i decreti di attuazione — sic). Esso aumenta le competenze dei magistrati onorari e prevede tre mandati di quattro anni (in tutto dodici anni!). Prevede una forma di compenso duplice (a quota fissa e a quota incentivante, subordinata al raggiungimento degli obiettivi fissati dal capo dell’ufficio). Non specifica il quantum del compenso, e per di più rimette al ministero della giustizia l’individuazione, con frequenza annuale, dell’importo di cui ogni tribunale e ogni procura della Repubblica possa disporre al fine di liquidare i «compensi» dei magistrati onorari (per altro non si comprende in base a quali criteri il ministero debba fissare l’importo e la vaghezza della previsione fa sorgere preoccupazione di possibili strumentalizzazioni al fine di frenare l’attività di singoli uffici in funzione di interessi estranei al buon andamento della pubblica amministrazione — soprattutto in materia penale). Con il disegno di legge il Governo delega se stesso a stabilire anche un trattamento previdenziale, ponendo però a carico esclusivo dei magistrati onorari l’onere dei contributi (concedendo ciò che in astratto è già nelle loro facoltà — regime volontario di previdenza, salva l’impossibilità in concreto di provvedere per mancanza di capacità economica). Per i magistrati onorari già in servizio prevede un regime transitorio: una maxiproroga. A prescindere dall’anzianità di servizio, la maxiproroga è ancorata a fasce di età, in quanto è previsto un minor numero di proroghe a mano a mano che si innalzi l’età, con la conseguenza di rendere precario chi non lo è e disoccupato in età lavorativa chi è precario di lungo corso. Scaduto il termine, bravi o no, tutti a casa. Cui prodest? Se ve lo siete chiesti, a breve la risposta del Ministro Andrea Orlando.
Ricevendo alcuni rappresentanti di categoria, a settembre, il ministro rispondeva così a un magistrato onorario in servizio da quattordici anni a tempo pieno, che esprimeva legittimamente preoccupazione su che cosa avrebbe fatto a 56 anni, alla scadenza della maxiproroga: «Non siete gli unici a non sapere che cosa farete tra dodici anni, vi sto dando il tempo per guardarvi intorno». A un altro, che chiedeva la ratio di tale previsione (cui prodest?), rispondeva: «È una scelta politica».
Possibile, invece, che voi non vi siate chiesti «cui prodest?», e che abbiate pensato: eccoli qua, questi vogliono entrare nella magistratura di carriera da una porta secondaria, senza superare il concorso per esami. Con tutto il rispetto dovuto a chi stia preparando con fatica il concorso per esami e a chi l’abbia superato, a chi sia iscritto a corsi privati di preparazione e a chi frequenti la scuola di specializzazione con grande impegno economico per la famiglia, e in disparte se l’attuale concorso sia il metodo migliore in assoluto per selezionare i magistrati, l’obiezione, se l’avete formulata, è infondata. Il piccolo esercito dei 3800 magistrati onorari non ha mai chiesto di essere arruolato nella magistratura di carriera, né ha mai chiesto l’estensione del suo trattamento economico. Rivendicano la valutazione e chiedono di continuare a fare quello che hanno fatto per anni, niente di più e niente di meno, ma con le garanzie di tutti i lavoratori, e un trattamento economico dignitoso. Una possibile soluzione sarebbe sottoporli a valutazione in base ai provvedimenti che abbiano emesso finora, all’impegno e alla capacità che abbiano dimostrato, e inserirli stabilmente, come soggetti delegati, nell’ufficio per il processo. Ne beneficerebbe l’amministrazione della giustizia per prima. La speranza è che in Commissione Giustizia i senatori discutano effettivamente il disegno di legge d’iniziativa governativa e gli altri disegni di legge che pure giacciono da tempo in quella sede. E che, alla fine, la ragione (e la civiltà giuridica), vinca.
Se, invece, passerà il disegno di legge di iniziativa governativa, il futuro dell’amministrazione della giustizia prima di tutto non è proprio roseo. Per gli attuali magistrati precari, è plumbeo. Inizieranno a guardarsi intorno come ha suggerito loro il Ministro Orlando, rischiando anche di distrarsi mentre motivano una sentenza o esaminano un teste in un processo penale, per dirne uno — a titolo di esempio -, per il reato di lesioni colpose causato da infortunio sul lavoro (non troppo, però, perché incombe anche su di loro la scure della responsabilità civile). Ma intanto ricorreranno anche loro a un giudice, come Dermod Patrick O’Brien, che nel frattempo si starà godendo la pensione, magari coltivando l’hobby della pesca in acqua dolce. Non manderanno avanti il loro Dermod, ma lo faranno con ricorsi giudiziari a tappeto in tutta Italia (hanno un elenco di norme europee violate nei loro confronti in quanto lavoratori). Speriamo che il nostro ministro della giustizia faccia leggere al presidente del Consiglio la sentenza della Corte di Giustizia europea del 2012, e gli dica in camera caritatis: «A flood of new claims would not be in anyone’s interests». Un’alluvione di nuovi ricorsi giudiziari non sarebbe nell’interesse di nessuno. Né dei ricorrenti, né del ministero della giustizia, né dei tribunali. Nemmeno — mi permetto di aggiungere -, di voi che avete letto fin qui.
[1] Tribunale che giudica le cause di lavoro nel Regno Unito.