L’occupazione e la propaganda

Men­sil­men­te l’I­STAT ren­de noti i dati fon­da­men­ta­li sul mer­ca­to del lavo­ro nazio­na­le: for­ze di lavo­ro, divi­se tra occu­pa­ti e per­so­ne in cer­ca di lavo­ro, a loro vol­ta divi­se per ses­so, spe­ci­fi­can­do inol­tre il dato rela­ti­vo ai gio­va­ni tra 15 e 24 anni. L’ul­ti­mo dato, fre­sco di stam­pa, ci dice che in gen­na­io gli occu­pa­ti sono aumen­ta­ti di 11.000 uni­tà rispet­to a dicem­bre 2014 e di 132.000 uni­tà rispet­to a gen­na­io 2014.

Non è una brut­ta noti­zia. Ma ci vor­reb­be un po’ più di cau­te­la pri­ma di met­te­re in moto la mac­chi­na del­la pro­pa­gan­da. Tan­to per dire, ci si dovreb­be pre­oc­cu­pa­re del fat­to che con­ti­nua ine­so­ra­bil­men­te a dimi­nui­re l’oc­cu­pa­zio­ne gio­va­ni­le, in ulte­rio­re calo sia rispet­to a dicem­bre che rispet­to a un anno pri­ma. Se dav­ve­ro la gene­ra­zio­ne dei ven­ten­ni fos­se la prio­ri­tà per le poli­ti­che occu­pa­zio­na­li del nostro gover­no sareb­be neces­sa­rio non vol­tar­si dal­l’al­tra par­te e pren­de­re di pet­to que­sto problema.

Ma al di là di tut­to, è un po’ stuc­che­vo­le com­men­ta­re dati che oscil­la­no del­lo zero­vir­go­la in una situa­zio­ne dram­ma­ti­ca come quel­la che stia­mo attraversando.

Negli ulti­mi undi­ci anni il nume­ro di occu­pa­ti è oscil­la­to poco sopra i 22 milio­ni. Solo nel bien­nio 2007–2008 ha sca­val­ca­to i 23 milio­ni. Nel 2013 si è toc­ca­to il mini­mo, con una media annua di 22,208 milio­ni. Nel 2014 si sono rag­giun­ti in media i 22,265, a dicem­bre si arri­va a 22,31 e il pri­mo mese del 2015 si apre con 22,32.

Le pre­vi­sio­ni degli eco­no­mi­sti in gene­re dise­gna­no un qua­dro in cui, nel miglio­re dei casi, una debo­le ripre­sa non sarà accom­pa­gna­ta da un aumen­to del­l’oc­cu­pa­zio­ne. L’OCSE arri­va con qual­che sfor­zo ad accre­di­ta­re un aumen­to di 340mila occu­pa­ti in cin­que anni (nei due anni del tra­va­glia­tis­si­mo Pro­di secon­do l’oc­cu­pa­zio­ne era aumen­ta­ta di 480mila uni­tà, se pro­prio voglia­mo fare un para­go­ne). I fan del Job­sAct pre­ve­do­no un qual­che impul­so alla cre­sci­ta del PIL dal­la tra­sfor­ma­zio­ne di con­trat­ti a tem­po deter­mi­na­to in con­trat­ti a tute­le cre­scen­ti (quel­li dove però si può esse­re licen­zia­ti sen­za giu­sta cau­sa né giu­sti­fi­ca­to moti­vo ogget­ti­vo), ma di cre­sci­ta del­l’oc­cu­pa­zio­ne com­ples­si­va non osa­no pro­prio par­la­re.

Eco­no­mi­sti = gufi, dunque?

La veri­tà è che se ci si osti­na far pas­sa­re una poli­ti­ca che bat­te sem­pre le stes­se piste fal­li­men­ta­ri per  una rivo­lu­zio­ne che ci rega­le­rà un radio­so avve­ni­re non si instil­la otti­mi­smo. Si ali­men­ta il distac­co dei cit­ta­di­ni, sem­pre meno dispo­sti a cre­de­re alle favo­le, dal­la poli­ti­ca. Quan­do l’u­ni­ca spin­ta posi­ti­va per rimet­te­re in moto le ener­gie del pae­se può veni­re pro­prio da un recu­pe­ro di par­te­ci­pa­zio­ne atti­va e di soli­da­rie­tà socia­le. Ciò che dovreb­be carat­te­riz­za­re, come suo codi­ce gene­ti­co, il Par­ti­to Democratico.

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