[vc_row][vc_column][vc_column_text css=”.vc_custom_1508756373388{margin-top: 20px !important;}”][/vc_column_text][vc_column_text]A fasi alterne nella politica italiana torna alla ribalta il tema dell’autonomismo regionale. In realtà raramente lo si affronta in modo convincente e preciso e molto spesso, nella storia recente, il tema è stato usato in modo del tutto strumentale. I recenti referendum indetti da Lombardia e Veneto sono l’esempio più eclatante di quanto un tema serio ed importante possa essere trattato in modo superficiale. La Lombardia ha infatti indetto un referendum su temi risolvibili con una normale dialettica Stato-Regione, mentre il Veneto ha indetto un quesito del tutto generico molto simile ad un sondaggio d’opinione.
Tuttavia non credo a nessuno debba sfuggire il fatto che 5 milioni di persone che, in due grosse regioni, escono di casa per votare generiche richieste di autonomia sono un dato politico rilevante di interesse sul tema. Una politica seria e lungimirante avrebbe da tempo capito che nel Paese “monta” una richiesta sempre maggiore di spazi di governo decentrato e di autentica autonomia nella gestione delle competenze e delle risorse, a cui è doveroso dare risposte. Questo è in parte dovuto a un’inefficiente gestione della spesa centrale e in parte alla maturata convinzione che una gestione di “prossimità”, pur sotto leggi quadro nazionali, produce politiche migliori.
Due dati simbolici ma esplicativi riguardano la distribuzione della spesa e del debito in questo Paese:
- Il 93% della spesa pubblica è deciso e attuato a livello ministeriale. Gli enti territoriali (regioni comprese) pesano per il 7% del totale.
- Il 97% del debito pubblico è prodotto dai ministeri, mentre meno del 3% è prodotto dagli enti territoriali.
Ora è evidente che questo scenario non regge più e che sarebbe stato opportuno procedere per tempo a un’inversione di rotta. Purtroppo, invece, sia nelle politiche del Governo Monti sia in quelle del Governo Renzi abbiamo assistito al ritorno di politiche centralistiche e accentratrici. Lo “Sblocca Italia” prevede un ritorno in capo allo stato di decisioni ed autorizzazioni che ricadevano tra le competenze regionali. La riforma costituzionale che nella revisione del titolo V e nel disegno pasticciato del Senato conteneva pesanti tentazioni centraliste non a caso è stata sonoramente bocciata dai cittadini.
Nonostante i ritardi è tempo di cancellare questi anni di scelte sbagliate e di lavorare alla costruzione di un sistema delle autonomie basato su due pilastri: la responsabilità e la solidarietà. Non esiste al mondo un sistema delle autonomie che non tenga insieme il principio di responsabilità nella gestione delle risorse e meccanismi perequativi che facciano da contrappeso per condizioni di partenza totalmente diverse. Su questi principi si potrebbe aprire un ragionamento serio che porti a guardare con interesse il sistema istituzionale tedesco, con il superamento delle specialità, il riconoscimento delle insularità e delle minoranze linguistiche.
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