L’uguaglianza ai tempi della Renzinomics

L’economia globale mostra segnali di rallentamento. Nel frattempo, il governo persevera nell’attuazione di un programma fiscale ispirato ad un mero calcolo di gestione del consenso, ponendo le basi per acuire le diseguaglianze e ricavando risultati risibili sul piano della crescita economica.

La con­giun­tu­ra macroe­co­no­mi­ca in que­sto ini­zio d’anno ci resti­tui­sce un qua­dro a tin­te fosche, con l’economia glo­ba­le in pos­si­bi­le fre­na­ta. I dub­bi prin­ci­pa­li cir­ca la soli­di­tà dell’espansione nell’Eurozona ven­go­no sol­le­va­ti a fron­te dell’eccezionalità dei fat­to­ri che l’hanno pro­pi­zia­ta: la com­pres­sio­ne del prez­zo del petro­lio, il deprez­za­men­to del cam­bio e l’allentamento mone­ta­rio ad ope­ra del­la BCE.

È in que­sto sce­na­rio che il gover­no Ren­zi ha deci­so di gio­car­si il tut­to per tut­to, impron­tan­do una poli­ti­ca fisca­le all’insegna dell’espansione in defi­cit. Que­sto tipo di atteg­gia­men­to deno­ta una for­te com­po­nen­te auto­le­sio­ni­sti­ca, per­ché va a com­pro­met­te­re i già limi­ta­ti mar­gi­ni di mano­vra del bilan­cio pub­bli­co. Il gover­no ha infat­ti scom­mes­so su una ripre­sa che sem­pli­ce­men­te non arri­ve­rà, nean­che in pre­sen­za degli ecce­zio­na­li shock posi­ti­vi di cui sopra. La bom­ba a oro­lo­ge­ria del­le clau­so­le di sal­va­guar­dia, una spa­da di Damo­cle da 17 miliar­di di euro, è sta­ta siste­ma­ti­ca­men­te disin­ne­sca­ta attra­ver­so coper­tu­re in defi­cit, men­tre il gover­no ingag­gia­va un pre­te­stuo­so scon­tro dia­let­ti­co con la Com­mis­sio­ne Euro­pea, rea di non con­ce­der­ci ulte­rio­re spa­zio fisca­le per far­ci del male. Nel frat­tem­po, i con­su­mi pri­va­ti arran­ca­no e le spin­te defla­zio­ni­sti­che sem­bra­no con­cla­mar­si, com­pro­met­ten­do il sen­tie­ro di rien­tro da uno stock di debi­to pub­bli­co al suo mas­si­mo nell’era repub­bli­ca­na (132,4% in rap­por­to al PIL). Nono­stan­te il gover­no abbia spin­to sull’acceleratore, la cre­sci­ta su base annua si atte­sta ad un mise­ro 0,8% (dove la sola varia­zio­ne del­le scor­te è pari allo 0.5%!), men­tre i dati tri­me­stra­li deno­ta­no una pro­gres­si­va dece­le­ra­zio­ne nel cor­so del 2015.

Lo sta­to dei nostri fon­da­men­ta­li macroe­co­no­mi­ci e l’incessante aggior­na­men­to del­lo sce­na­rio poli­ti­co-eco­no­mi­co glo­ba­le avreb­be­ro impo­sto un sup­ple­men­to di respon­sa­bi­li­tà nel­la scel­ta del­le rifor­me da intra­pren­de­re. Una vera azio­ne di discon­ti­nui­tà rispet­to al pas­sa­to avreb­be richie­sto una pro­fon­da revi­sio­ne del­la spe­sa pub­bli­ca, così da intac­ca­re le nume­ro­se sac­che di inef­fi­cien­za dell’apparato sta­ta­le e rica­va­re risor­se in gra­do di rilan­cia­re gli inve­sti­men­ti e ridur­re il cuneo fisca­le in manie­ra strut­tu­ra­le, sen­za dun­que ricor­re­re a misu­re limi­ta­te nel tem­po e che han­no avu­to come uni­co risul­ta­to quel­lo di dopa­re gli effet­ti del Jobs Act.

L’azione del Gover­no si è carat­te­riz­za­ta per tut­ta una serie di prov­ve­di­men­ti fisca­li la cui ratio è rin­ve­ni­bi­le in un mero cal­co­lo di gestio­ne del con­sen­so: il bonus da 80 euro in vista del­le ele­zio­ni euro­pee, la man­cia da 500 euro ai neoe­let­to­ri, l’abolizione del­la Tasi sul­la pri­ma casa per accon­ten­ta­re i capric­ci dei Ber­lu­sco­nes. A fron­te di costi cer­ti per le cas­se del­lo Sta­to e di dub­bia capa­ci­tà di sti­mo­lo all’e­co­no­mia aggre­ga­ta, que­sti prov­ve­di­men­ti han­no come effet­to prin­ci­pa­le quel­lo di ero­de­re la strut­tu­ra di pro­gres­si­vi­tà fisca­le impli­ci­ta nel nostro siste­ma di tas­sa­zio­ne ed espli­ci­tam­ne­te pre­vi­sta dall’Articolo 53 del­la Costi­tu­zio­ne. L’inevitabile epi­lo­go è quel­lo di ina­spri­re ulte­rior­men­te le dise­gua­glian­ze che si sono venu­te a sedi­men­ta­re in decen­ni di spe­sa pub­bli­ca fuo­ri con­trol­lo, e che si pale­sa­no oggi nel­la Ter­za socie­tà, un eser­ci­to invi­si­bi­le di 9 milio­ni di ita­lia­ni, in gran par­te don­ne e gio­va­ni resi­den­ti al Sud, che sono di fat­to esclu­si dal mer­ca­to del lavo­ro. Al di là del­le con­si­de­ra­zio­ni con­giun­tu­ra­li, inter­ve­ni­re strut­tu­ral­men­te a soste­gno di que­ste cate­go­rie è di fon­da­men­ta­le impor­tan­za per un’economia come quel­la ita­lia­na, dove il com­bi­na­to dispo­sto di bas­sa cre­sci­ta eco­no­mi­ca e scar­sa cre­sci­ta demo­gra­fi­ca por­ta neces­sa­ria­men­te all’insostenibilità del debi­to pub­bli­co e del siste­ma pensionistico.

D’altro can­to, non è più pos­si­bi­le rin­via­re misu­re in gra­do di sti­mo­la­re l’accrescimento del capi­ta­le uma­no, sia rispet­to al suo mar­gi­ne esten­si­vo (quan­ti­tà) che a quel­lo inten­si­vo (qua­li­tà). L’Italia si distin­gue infat­ti per la più bas­sa quo­ta del­la popo­la­zio­ne in pos­ses­so di istru­zio­ne uni­ver­si­ta­ria o equi­va­len­te, posi­zio­nan­do­si inve­ce al quar­to posto rispet­to alla popo­la­zio­ne istrui­ta a livel­lo pri­ma­rio (fon­te: OCSE). A tal pro­po­si­to, nell’ultimo Coun­try Report sul nostro Pae­se la Com­mis­sio­ne Euro­pea ha posto una cer­ta enfa­si rispet­to alla cre­scen­te fuga dei cer­vel­li e ai con­se­guen­ti rischi per la qua­li­tà del­l’of­fer­ta di lavo­ro, la cre­sci­ta poten­zia­le e lo sta­to del­le finan­ze pub­bli­che. Di fat­to, nell’individuare le cau­se del nostro decli­no la Com­mis­sio­ne rico­no­sce al capi­ta­le uma­no un’importanza assi­mi­la­bi­le a quel­la dei più tra­di­zio­na­li indi­ca­to­ri macroe­co­no­mi­ci. È ormai indub­bio che per rilan­cia­re la pro­dut­ti­vi­tà dei fat­to­ri — lavo­ro in pri­mis — sia neces­sa­rio arre­sta­re l’emorragia di risor­se intel­let­ti­ve, ope­ran­do scel­te corag­gio­se sull’offerta sco­la­sti­ca ed uni­ver­si­ta­ria, sugli incen­ti­vi alla ricer­ca e svi­lup­po e sul­la for­ma­zio­ne pro­fes­sio­na­le. Dif­fi­da­re di Gover­ni che affron­ta­no que­sti temi su un pia­no esclu­si­va­men­te pro­pa­gan­di­sti­co, pro­po­nen­do solu­zio­ni faci­li a pro­ble­mi così radi­ca­ti nel tem­po, rap­pre­sen­ta un pri­mo pas­so ver­so una pre­sa di coscien­za rispet­to ai nodi stra­te­gi­ci del nostro sviluppo.

Ulti­mo ma asso­lu­ta­men­te non meno impor­tan­te, per intra­pren­de­re una lot­ta alle disu­gua­glian­ze ispi­ra­ta al cri­te­rio di pro­gres­si­vi­tà fisca­le espres­so nel det­ta­to costi­tu­zio­na­le è neces­sa­rio indi­vi­dua­re stru­men­ti a soste­gno dei red­di­ti al di sot­to del­la soglia di pover­tà. A tal pro­po­si­to, in Euro­pa solo Ita­lia e Gre­cia non pre­ve­do­no il red­di­to mini­mo garan­ti­to. Intro­dur­re que­sto stru­men­to, legan­do­lo oppor­tu­na­men­te all’implementazione di poli­ti­che atti­ve del lavo­ro — così da scon­giu­ra­re il rischio che il sus­si­dio fun­ga da deter­ren­te alla ricer­ca di un impie­go — rap­pre­sen­ta una via d’uscita rispet­to al mor­so del­la pover­tà dila­gan­te. L’esperienza del­la Pro­vin­cia Auto­no­ma di Tren­to, che ha intro­dot­to il red­di­to mini­mo a par­ti­re dal 2009, si è rive­la­ta vin­cen­te sot­to un cer­to nume­ro di aspet­ti. Esten­de­re que­sta misu­ra su sca­la nazio­na­le richie­de­reb­be tra i 5 e i 6 miliar­di di euro, a fron­te di 9,5 miliar­di spe­si dal gover­no per finan­zia­re il bonus IRPEF, che ha intro­dot­to enor­mi distor­sio­ni sul pia­no del­la pla­tea degli aven­ti dirit­to e con­se­gui­to dub­bi effet­ti sul pia­no dei consumi.

È aven­do ben pre­sen­ti que­sti temi che dob­bia­mo chie­der­ci cosa ci aspet­te­rem­mo da una for­za poli­ti­ca in gra­do di erger­si a dife­sa dei più debo­li, dei pre­ca­ri in sen­so lato, di quel­li che non han­no tute­la per­ché sem­pli­ce­men­te non sono anco­ra chia­ma­ti a sce­glie­re. La nostra stes­sa esi­sten­za come socie­tà, pri­ma anco­ra che la soste­ni­bi­li­tà del­la nostra eco­no­mia, si gio­ca sul cam­po dell’uguaglianza e dell’equità inter­ge­ne­ra­zio­na­le.

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