di Alessandro Tinti
Il 2 giugno il Presidente del Consiglio Europeo Charles Michel si è intrattenuto con il Presidente egiziano Abdel Fattah al-Sisi in un lungo colloquio telefonico. In quanto rappresentante delle relazioni esterne dell’Unione Europea, in quell’occasione Michel avrebbe dovuto ricordare le priorità del partenariato sottoscritto nel 2017, che vincola la cooperazione bilaterale al rispetto dei diritti umani, della democrazia e dello Stato di diritto.
Avrebbe dovuto condannare senza mezzi termini la ferocia del regime, l’implacabile repressione del dissenso, gli arresti arbitrari degli oppositori, le condizioni disumane di detenzione a questi riservate, la pratica sistematica della tortura, i processi di massa, gli oltre duemila condannati a morte, le sparizioni forzate, gli omicidi extragiudiziali, i massacri in piazza, la persecuzione delle minoranze, la sospensione delle libertà di espressione e di associazione, il protrarsi indefinito dello stato di emergenza, la negazione del pluralismo. Avrebbe dovuto ricordare che universalità e indivisibilità dei diritti dell’uomo e delle libertà fondamentali sono principi cardine dell’azione esterna dell’Unione, sanciti nel Trattato e ribaditi nel recente Piano d’azione per i diritti umani e la democrazia. Avrebbe dovuto fare riferimento alla risoluzione approvata lo scorso dicembre dal Parlamento Europeo, voce di 450 milioni di cittadine e cittadini europei, in cui si richiedeva l’istituzione di meccanismi di inchiesta per monitorare la grave situazione dei diritti umani in Egitto, l’adozione di sanzioni contro chi fosse implicato nella loro violazione e il rilascio immediato dei prigionieri politici. Avrebbe potuto fare leva sull’applicazione di sanzioni, ora che l’Unione Europea si è dotata di nuovi strumenti sul modello del Magnitsky Act, e sull’interruzione di prestiti attraverso la Banca europea per gli investimenti o degli ingenti fondi stanziati attraverso lo Strumento europeo di vicinato e il Fondo fiduciario d’emergenza per l’Africa.
Avremmo voluto che avesse detto questo al Generale al-Sisi, volto della tremenda dittatura egiziana, ma così non è stato. Il Presidente del Consiglio Europeo ha invece lodato il ruolo regionale dell’Egitto nella stabilizzazione del Mediterraneo, ringraziato la mediazione per il cessate il fuoco su Gaza, riconosciuto i comuni interessi in Libia, confermato i generosi flussi finanziari, salutato con favore il riavvicinamento con la Turchia. Non una parola su Patrick Zaki, Ahmed Samir Santawy, Mohamed Ibrahim, Mohamed Ramadan, Abdelrahman Tarek, Ezzat Ghoneim, Haytham Mohamadeen, Alaa Abdel Fattah, Ibrahim Metwally Hegazy, Mahienour El-Massry, Mohamed El-Baqer, Hoda Abdelmoniem, Ahmed Amasha, Islam El-Kalhy, Abdel Moneim Aboul Fotouh, Esraa Abdel Fattah, Ramy Kamel, Ibrahim Ezz El-Din, Zyad el-Elaimy, Hassan Barbary, Ramy Shaath, Sanaa Seif, Solafa Magdy, Hossam al-Sayyad, Mahmoud Hussein, Kamal El-Balshy — e come loro migliaia di attivisti, giornalisti, politici, sindacalisti, avvocati, accademici e studenti incarcerati con l’accusa pretestuosa di terrorismo.
L’Unione Europea assolve se stessa e bacia la mano insanguinata del regime. Non può e non deve essere questo il contenuto della nuova agenda inaugurata da Bruxelles per rilanciare le politiche di vicinato nel Mediterraneo.