[vc_row][vc_column][vc_column_text]Ciclicamente e con una puntualità drammatica, riemerge la vergogna italiana dei bambini costretti a crescere in carcere con le loro mamme detenute. Questa volta il faro si è riacceso, purtroppo, per una vicenda accaduta a settembre 2017 nel penitenziario di Messina Gazzi, dove un bambino di circa un anno è rimasto intossicato dopo aver ingerito del veleno per topi nel reparto femminile dove vive insieme alla madre detenuta nigeriana.
Il bambino stavolta si è salvato fortunatamente, ma cosa di terribile dovrebbe mai accadere per risolvere definitivamente questa situazione assurda e innaturale che costringe donne detenute a far vivere i propri figli da zero a sei anni, pur di poterli avere vicini e poterli allevare e crescere, dietro a delle sbarre, in ambienti pericolosi, insalubri e assolutamente contrari alla Dichiarazione Universale dei diritti del Fanciullo?
La soluzione non può più essere rimandata.
Nonostante questo fenomeno sia stato oggetto nel tempo di interventi legislativi, tutto è pressoché rimasto inalterato e soprattutto per le categorie più svantaggiate come le donne straniere. La cosiddetta “legge 8 marzo” ad esempio, la 40/2001, che ha favorito l’accesso delle donne con figli piccoli alle misure cautelari alternative, come la detenzione speciale domiciliare che permette alle detenute madri di bambini con meno di dieci anni di poter scontare parte della pena a casa o in altro luogo di accoglienza, ha finito per tagliar fuori dal beneficio tutte quelle donne spesso prive di fissa dimora che non possono accedere agli arresti domiciliari.
Mentre l’altra legge di rilievo, la n. 62/2011, che ha introdotto le Case famiglia protette, l’unica forma detentiva possibile e tollerabile per i bambini ma anche per le mamme detenute straniere, è rimasta inapplicata perché il Governo di allora per una simile emergenza non ha previsto lo stanziamento dei fondi necessari.
Partendo proprio dal deficit della legge 62/2011, dalla necessità di trovare risorse per la creazione di Case famiglia protette e dalle opinioni espresse da associazioni ed esperti, come anche dal Ministro della giustizia Orlando, che una simile vergogna deve essere fermata, noi di Possibile abbiamo provato a fare due conti e trovato la soluzione.
Al 30 settembre 2017 risultavano recluse 32 detenute straniere con 36 bambini al seguito. Considerando che le “Case famiglia protette” sono pensate per avere un massimo di sei nuclei di genitori ospiti, basterebbero 6 strutture da distribuire su tutto il territorio nazionale. Prendendo come modello l’unica Casa famiglia protetta realizzata a Roma e partendo dall’utilizzo degli immobili confiscati alla criminalità che vengono destinati ai comuni, la nostra proposta di legge “Modifiche agli articoli 4 e 5 della Legge 21 aprile 2011, n. 62 in materia di tutela del rapporto tra detenute madri e figli minori”, calcola di destinare per la gestione delle 6 strutture 900mila euro l’anno prelevandoli dalle ingenti risorse del Fondo unico giustizia (FUG) che tra i suoi obiettivi ha anche quello di migliorare il funzionamento del sistema di amministrazione della giustizia.
Questo è quindi il limitato costo che il Governo deve sostenere per intervenire in modo definitivo per la tutela dei bambini detenuti insieme alle loro mamme straniere e per assicurare sistemazioni idonee, sicure e a misura di bambino, nel rispetto della Dichiarazione universale dei diritti del fanciullo.
P.S.: Ai fini informativi il FUG è un fondo a disposizione del governo italiano per affrontare le criticità ed è gestito da Equitalia Giustizia S.p.A. Nel fondo confluiscono tutti i rapporti finanziari ed assicurativi sottoposti a sequestro penale o amministrativo oppure a confisca e le somme non ritirate trascorsi 5 anni dalla definizione dei processi civili e delle procedure fallimentari.
Al 30 giugno 2015 il patrimonio del FUG ammontava a € 3.710.147.434.[/vc_column_text][/vc_column][/vc_row]