Oggi, 26 gennaio 2023, il Presidente e i rappresentanti politici del XV Municipio di Roma hanno aderito alla proposta di “Manifesto per il contrasto alla violenza di genere”, elaborato dal gruppo di lavoro trans*femminista del Comitato romano di Possibile dopo un lungo lavoro di approfondimento e di contatti con associazioni, espertɜ e operatorɜ che si confrontano quotidianamente con il fenomeno della violenza maschile contro le donne e della violenza di genere. Abbiamo fatto ciò che pensiamo la politica debba fare: mettersi in ascolto e al servizio di chi di certi temi si occupa da tempo e con competenza. Lo abbiamo fatto a modo nostro: partendo dal basso, e cioè dalle realtà attive sui territori, dallɜ attivistɜ e volontariɜ che con il loro impegno colmano le falle di un sistema disegnato dall’alto. E lo abbiamo fatto con lo spirito di diffondere una visione del mondo trans*femminista e intersezionale anche nelle istituzioni.
Il nostro Manifesto chiede che il tema del contrasto del fenomeno della violenza di genere venga affrontato attraverso una serie di interventi specifici, mirati a demolire la sottocultura patriarcale e i suoi effetti sulla società, facendo leva sulla promozione di una cultura capace di individuare e annullare gli effetti venefici degli stereotipi culturali. Questo lavoro deve necessariamente partire dall’educazione delle prossime generazioni, cioè dalle scuole (promuovendo l’educazione sessuo-affettiva) e, parallelamente, fornire adeguata assistenza e mezzi per accompagnare le sopravvissute nel processo di fuoriuscita da questa particolare forma di violenza.
Il Manifesto cui oggi ha aderito il Presidente del Municipio XV di Roma Capitale è proposto a tutte le realtà della Pubblica Amministrazione e a tuttɜ lɜ rappresentanti della maggioranza e dell’opposizione, in modo trasversale, così come trasversale e incisiva deve essere la lotta alla violenza di genere.
Il fenomeno della violenza di genere è in crescita, fino ad aver assunto i contorni di una vera e propria emergenza quotidiana, le cui basi culturali sono di facile individuazione: la società patriarcale, che permea tutti gli ambienti sociali (familiare, lavorativo, politico, economico…) è alla radice non solo della violenza di genere, ma anche di tutti i fenomeni ad essa collegati, come, a titolo di esempio, la vittimizzazione secondaria.
La Convenzione del Consiglio d’Europa per la prevenzione e la lotta alla violenza contro le donne e la violenza domestica, cosiddetta “Convenzione di Istanbul”, entrata in vigore il 1° agosto 2014, istituisce un quadro giuridico vincolante che fornisce le definizioni stesse e il campo di applicazione delle misure di prevenzione e di contrasto alla violenza di genere. Ciononostante, i principi della Convenzione di Istanbul non sono stati adeguatamente diffusi, tanto da essere in parte sconosciuti anche tra lɜ operatorɜ che si occupano del fenomeno. Scarseggiano, inoltre, le strutture previste dalla Convenzione: malgrado i recenti sforzi, risulta ancora inadeguato il numero dei Centri Antiviolenza e siamo lontanɜ dall’obiettivo di un posto letto ogni diecimila abitanti con le poche Case Rifugio esauste ed appena il 10% della copertura Insufficiente anche il numero di centri per la Semiautonomia e le misure di assistenza per il recupero delle vittime quali l’accesso ai servizi sociali e sanitari e le misure per l’empowerment. Lo stesso Piano Nazionale di Ripresa e Resilienza ha posto la parità di genere come una delle priorità trasversali a tutte le missioni del programma: se la chiamiamo priorità, trattiamola come tale.
Le tre macroaree di intervento proposte nel Manifesto per il contrasto alla violenza di genere sono:
CREAZIONE DI UNA RETE: interazione tra soggetti pubblici, privati e realtà associative per lo sviluppo di politiche di genere, di contrasto alla violenza maschile contro le donne e alla cultura e alle dinamiche patriarcali: costruire una rete per una politica condivisa, sfruttare le sinergie e condividere le esperienze. Le realtà che lavorano quotidianamente, da anni e anche in contesti difficili, per sopperire alle mancanze delle istituzioni dovrebbero essere ringraziate, ascoltate, e supportate, non osteggiate e addirittura portate a processo, come sta accadendo nella surreale vicenda di Lucha Y Siesta a Roma (no, l’antiviolenza non si processa, mai).
EDUCAZIONE, FORMAZIONE E INFORMAZIONE: promozione di iniziative di educazione sessuo-affettiva nelle scuole e formazione dellɜ operatorɜ appartenenti alle realtà che vengono a contatto con il fenomeno (assistenti sociali, operatorɜ della scuola, della sanità e delle forze dell’ordine); assistenza e indirizzamento alle donne vittime di violenza che necessitano di protezione per sé e per la prole verso le case rifugio; emersione e denuncia delle violenze nei luoghi di lavoro; promozione di campagne di sensibilizzazione rivolte alla cittadinanza e ai presidi pubblici; elaborazione, condivisione e distribuzione di materiale informativo (redatto in più lingue), rivolto a chi accede ai servizi sociali ed educativi.
Il lavoro culturale non deve essere ritenuto secondario rispetto alla gestione dell’emergenza: la violenza di genere è il risultato della cultura tossica in cui tuttɜ siamo immersɜ. Si pensi al recente caso di rappresentazione di una relazione tossica in un programma popolare di prima serata come “C’è posta per te”, in cui il biasimo è ricaduto sulla donna che ne era inequivocabilmente vittima, o alla vergognosa narrazione del recente femminicidio dell’avvocata Martina Scialdone da parte di molte testate giornalistiche o, infine, all’opuscolo distribuito dalla Regione Friuli Venezia Giulia, segnalato dal nostro Comitato @Possibile_FVG, che consiglia quale abbigliamento adottare, quali strade e quali atteggiamenti evitare per non essere vittima di un’aggressione. Se cercavate esempi del cosiddetto “victim blaming”, eccoli qua.
MONITORAGGIO: istituzione di un Osservatorio territoriale per la rilevazione del fenomeno, con riferimento ai sistemi informativi cittadini, regionali e nazionali, anche allo scopo di agevolare la collocazione delle vittime di violenza in opportuni spazi di accoglienza, nel rispetto dell’anonimato e della riservatezza.
Misurare un fenomeno significa dargli un nome, imparare a conoscerlo e favorirne la corretta narrazione. Grande, in questo senso, è il lavoro fatto dall’Osservatorio Nazionale Femminicidi, Lesbicidi e Trans*cidi di Non Una di Meno. Dobbiamo supportare una corretta digitalizzazione dei dati che provengono dai Centri Antiviolenza e delle Case Rifugio e dobbiamo mapparle su tutti i territori in modo da aiutare il loro lavoro, favorendo una comunicazione riservata ma diretta e rapido accesso ai posti letto nelle situazioni di emergenza, senza dover fare affidamento sul passaparola ed interminabili giri di telefonate.
Un doveroso ringraziamento va all’associazione @Differenza Donna e, in particolare, a Daniela Palladino, per la disponibilità e collaborazione nel rispondere alle nostre richieste di approfondimento, al presidente del XV Municipio Daniele Torquati e alle assessore e consigliere Agnese Rollo, Stefania De Angelis e Tatiana Marchisio, per aver accolto la nostra proposta con entusiasmo e desiderio di cooperazione, dimostrando che la buona politica è fatta di dialogo, ricerca di punti di incontro e collaborazione per una visione comune di società.
Si tratta di un piccolo sassolino gettato nello stagno, ma siamo fiduciosɜ che questo cerchio che abbiamo creato nell’acqua possa allargarsi ad altre realtà, siano esse altri municipi di Roma o altre città nel Lazio ed in Italia, perché per estirpare il fenomeno della violenza di genere e decostruire la sottocultura patriarcale che lo genera serve prendersi un impegno che non può limitarsi alle commemorazioni del 25 novembre.
Il “Manifesto” contiene una proposta concreta rivolta alle realtà che vogliano aderirvi, esse siano soggetti pubblici, privati, enti o associazioni. Ci auguriamo che questo primo esempio venga presto accolto da altri rappresentanti politici di altri Municipi e amministrazioni locali.
Gruppo Trans*Fem Comitato Roma Possibile