Matteo Renzi contro il Fiscal compact

La cosa più sconcertante di tutta l’operazione però è il tentativo di ridefinire le parole, ovvero impostare l’equazione “parametri di Maastricht = bene, fiscal compact = male”: roba che non si vedeva dai tempi di Berlusconi

[vc_row][vc_column][vc_column_text css=”.vc_custom_1499946874080{margin-top: 20px !important;}”][/vc_column_text][vc_column_text]Ammetto di non aver capi­to subi­to ma l’operazione “Mat­teo Ren­zi con­tro il fiscal com­pact” è mol­to più gra­ve di quan­to potreb­be sem­bra­re di pri­mo acchi­to. All’inizio pen­sa­vo alla gros­so­la­ni­tà di chi non cono­sce bene l’Europa e scam­bia il “Pat­to di sta­bi­li­tà e cre­sci­ta” (para­me­tri di Maa­stri­cht) con il “Pat­to di bilan­cio euro­peo” (fiscal com­pact) giu­sto per igno­ran­za. Pur­trop­po l’intervista a Gra­zia­no Del­rio con­fer­ma che si trat­ta di un’operazione con­cer­ta­ta che ser­ve a costrui­re una nuo­va “nar­ra­zio­ne” del rap­por­to con l’UE al fine, come al soli­to, di “nazio­na­liz­za­re i suc­ces­si ed euro­peiz­za­re gli insuc­ces­si” come si usa fare da qual­che anno a que­sta par­te tra le can­cel­le­rie euro­pee meno avvedute.

Rica­pi­to­lia­mo: secon­do Ren­zi il nostro pae­se dovreb­be fare un pat­to per man­te­ne­re il defi­cit al 2,9% per 5 anni (para­me­tri di Maa­stri­cht = bene) e non con­ti­nua­re nel pro­ces­so di decre­sci­ta del defi­cit con­cor­da­to con Bru­xel­les (fiscal com­pact = male). L’idea è che più risor­se pub­bli­che si spen­do­no e più l’economia cre­sce. Al di là del fat­to che fis­sa­re quel livel­lo non fa altro che fare diven­ta­re più stu­pi­do il mec­ca­ni­smo visto che il ciclo eco­no­mi­co potrà muo­ver­si in sen­so posi­ti­vo o nega­ti­vo in futu­ro, va anche det­to che non tut­ta la spe­sa pub­bli­ca è allo stes­so modo fon­te di cre­sci­ta: ad esem­pio usa­re il defi­cit per aumen­tar la spe­sa cor­ren­te o elar­gi­re man­ce è mol­to meno uti­le rispet­to a fare inve­sti­men­ti pub­bli­ci che han­no un effet­to di cre­sci­ta mol­to più ele­va­to, soprat­tut­to in tem­pi di crisi.

Pec­ca­to che i para­me­tri di Maa­stri­cht con­ten­ga­no anche l’obiettivo del debi­to oltre a quel­lo del defi­cit e dico­no che si deve “ten­de­re” al 60% del para­me­tro debito/PIL, cosa del resto ultra-nota che ci per­mi­se di entra­re nell’euro nel 1998 pro­prio per­ché la ten­den­za in que­gli anni era ver­so la ridu­zio­ne. Inve­ce il fiscal com­pact dice qual­co­sa di mol­to più impe­gna­ti­vo: oltre al pareg­gio di bilan­cio la rego­la più dura impo­ne la ridu­zio­ne di 1/20 ogni anno del­la par­te del­lo stock del debi­to ecce­den­te il 60% del PIL. Sic­co­me ora sia­mo in una situa­zio­ne di debito/PIL al 132,6% (fine 2016, Euro­stat) que­sto com­por­te­reb­be una cor­re­zio­ne di 3,6 pun­ti che signi­fi­che­reb­be una mano­vra mostruo­sa pari a 60 miliar­di per cia­scu­no dei pros­si­mi anni (a decre­sce­re ovvia­men­te).

In real­tà, sic­co­me ci sono più valo­ri in gio­co (cre­sci­ta del PIL, infla­zio­ne), il fiscal com­pact potreb­be esse­re meno pesan­te del pre­vi­sto ma il pic­co­lo det­ta­glio è che non è mai entra­to in vigo­re, ovve­ro nes­su­no, dall’approvazione del trat­ta­to nel 2012, ha mai chie­sto ai pae­si dell’area euro di rispet­ta­re il pareg­gio di bilan­cio né di effet­tua­re quell’aggiustamento strut­tu­ra­le. La Com­mis­sio­ne si ren­de con­to infat­ti che non ha sen­so stroz­za­re l’economia ita­lia­na ed euro­pea: pro­prio per que­sto sono sta­te accor­da­te “fles­si­bi­li­tà” negli anni pas­sa­ti, per cer­ca­re di far supe­ra­re al nostro pae­se la pro­fon­da reces­sio­ne in cui era caduto.

Per riu­sci­re a capi­re bene di cosa si stia par­lan­do però è neces­sa­rio riper­cor­re­re la sto­ria: il “fiscal com­pact” è un trat­ta­to sigla­to al di fuo­ri dei trat­ta­ti fon­da­men­ta­li UE insie­me a quel­lo sul Mec­ca­ni­smo euro­peo di sta­bi­li­tà (MES), il fon­do che è sta­to usa­to per il “sal­va­tag­gio” di alcu­ni pae­si euro­pei duran­te la cri­si dei debi­ti sovra­ni. Arri­va nel 2011 e rap­pre­sen­ta sostan­zial­men­te la garan­zia poli­ti­ca, chie­sta dal­la Ger­ma­nia, che non si ripre­sen­tas­se più una situa­zio­ne di poten­zia­le rot­tu­ra dell’euro a cau­sa degli squi­li­bri nei con­ti di alcu­ne nazio­ni: in pra­ti­ca i tede­schi vole­va­no esse­re sicu­ri di non dover paga­re di tasca pro­pria il costo di qual­che fal­li­men­to. È sta­ta la pre­mes­sa su cui si sono imba­sti­ti i sal­va­tag­gi, la pre­mes­sa neces­sa­ria pri­ma del “wha­te­ver it takes” di Dra­ghi (la dichia­ra­zio­ne “fare­mo tut­to il pos­si­bi­le per sal­va­re l’euro”) che è del luglio 2012, ovve­ro dopo che il nostro pae­se si era impe­gna­to in un’importante pac­chet­to di rifor­me per evi­ta­re il fal­li­men­to con il gover­no Mon­ti e appun­to dopo la fir­ma del fiscal compact.

In real­tà l’Italia ha un inte­res­se nazio­na­le ben pre­ci­so in que­sto momen­to ed è quel­lo di entra­re nel “sen­tie­ro di ridu­zio­ne del debi­to”, ope­ra­zio­ne che ci riu­scì nel 1995–2000 e nel 2006–2007: si trat­ta dell’uni­ca garan­zia che il pae­se può otte­ne­re per evi­ta­re il fal­li­men­to e dob­bia­mo riu­scir­ci ora, nel momen­to in cui la ripre­sa sta pren­den­do vigo­re: biso­gna agi­re in modo anti­ci­cli­co per “met­te­re fie­no in casci­na” nel modo più indo­lo­re pos­si­bi­le e non tro­var­ci in futu­ro nel dram­ma quan­do la BCE chiu­de­rà il suo pro­gram­ma di inie­zio­ne di liqui­di­tà nel siste­ma, cosa che pri­ma o poi acca­drà. Que­sta impo­sta­zio­ne va incon­tro anche alle ven­ti­la­te idee di raf­for­za­men­to dell’eurozona attra­ver­so un teso­ro euro­peo con capa­ci­tà di assor­bi­re gli shock asim­me­tri­ci nei vari pae­si, altro inte­res­se vita­le del nostro pae­se.

La cosa più scon­cer­tan­te di tut­ta l’operazione però è il ten­ta­ti­vo di ride­fi­ni­re le paro­le, ovve­ro impo­sta­re l’equazione “para­me­tri di Maa­stri­cht = bene, fiscal com­pact = male”: roba che non si vede­va dai tem­pi di Ber­lu­sco­ni, il qua­le ten­ta­va di far pas­sa­re un’altra equa­zio­ne, ovve­ro “pre­scri­zio­ne = asso­lu­zio­ne”. Si trat­ta di un altro dei pro­dot­ti del­la “nar­ra­zio­ne” che non tro­van­do cor­ri­spon­den­za nel­la real­tà inven­ta una pro­pria fan­ta­sio­sa veri­tà per rac­con­tar­la all’opinione pub­bli­ca. Il pro­ble­ma non è tan­to lo schian­to dei nar­ra­to­ri che saran­no costret­ti a misu­rar­si con la durez­za del­le cose, piut­to­sto è il discre­di­to get­ta­to sul pae­se che avreb­be tan­to biso­gno di recu­pe­ra­re cre­di­bi­li­tà in Euro­pa e inve­ce si pren­de sono­ri due di pic­che per­ché i gover­ni euro­pei ci riten­go­no inaffidabili.[/vc_column_text][/vc_column][/vc_row]

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