«Se i referendum hanno la potenzialità di cambiare una storia che sembra già scritta? Assolutamente: i referendum sono sempre stati un modo per andare oltre i limiti e scavalcare le pastoie». Maurizio De Giovanni, il giallista creatore del commissario Ricciardi, ha le idee ben chiare. Mette ordine tra gli avvenimenti, scompone i processi, trova la soluzione. Lo abbiamo intervistato a tutto campo, oltre che sulla sua scelta di firmare i referendum.
Il commissario Ricciardi lo conoscono in molti, oramai, ma non tutti. Cominciamo con un suo breve ritratto.
Ricciardi è un commissario di Polizia che opera a Napoli nei primi anni ’30. Più precisamente, gli otto romanzi di cui è protagonista sono ambientati tra il 1931 e il 1932. È una persona gravata da una capacità straordinaria, quella di poter vedere gli ultimi atti e gli ultimi pensieri delle persone morte di morte violenta. A lui spetta il ruolo di ricomporre quei pensieri e quelle vite interrotte. Queste percezioni, però, fanno di lui una persona solitaria e distante, comportamenti che si ripropongono sia durante lo svolgimento delle indagini che anche nella sfera emotiva e sentimentale, allontanandolo da una donna, Enrica.
Un ritratto che sembra il più distante possibile da quello della maggior parte dei politici attuali, impegnati a fare selfie, bagni di folla. Eppure Ricciardi piace molto ai suoi lettori.
Questo perché Ricciardi ha un atteggiamento sostanziale: mira sempre alla sostanza, in qualunque situazione si trovi. Non l’ho voluto fare simpatico, o esperto gourmet, o abile con le donne. Al contrario, soffre per la sofferenza altrui, una cosa che tutti noi non facciamo mai. È questo il segreto del suo successo.
Le indagini di Ricciardi sono ambientati nel mezzo della dittatura fascista. Ai tempi la politica era molto presente nella società, tanto che a tratti era difficile riuscire a distinguerle. Come si è evoluto il rapporto tra politica e società?
È necessario operare una distinzione. La vita sociale è politica, le due cose corrispondono perfettamente: la politica non è altro che la composizione delle singole volontà individuali in un’unica volontà collettiva. Al momento, però, le persone percepiscono la politica come vessatoria, corrotta, menzognera. Le conseguenze sono l’astensionismo o l’espressione del proprio voto a favore di movimenti che fanno della demagogia la propria forza, e sulla base di ciò riscuotono un facile successo. Si tratta di un danno sociale immenso.
In una recente intervista lei dichiarava che nelle sue indagini il commissario Ricciardi è portato a chiedersi «come sentimenti quali amore, amicizia, affetto paterno o filiale possano essersi corrotti e infettati fino a diventare il loro opposto». A chi segue la politica, una metamorfosi del genere non può che ricordare la voglia di cambiamento che si è manifestata nelle urne nel 2013, e che è stata assolutamente tradita.
È assolutamente vero. Sono da ricercare qui le ragioni del distacco di cui parlavo in precedenza: siamo stati ingannati più volte. Promettere e non mantenere le promesse è divetata una costante nel mondo politico, tanto che oramai ci si aspetta che qualsiasi promessa venga tradita.
A questo punto si può svelare chi è l’assassino…
L’assassino è quello che sfrutta, che cavalca l’onda di certi sentimenti. Col risultato che si allontana sempre di più dagli ultimi, dai lavoratori che hanno perso il lavoro, dagli immigrati.
I referendum hanno il potenziale per cambiare un finale che sembra già scritto?
Assolutamente: i referendum sono sempre stati un modo per andare oltre i limiti e scavalcare le pastoie, le burocrazie – che nei momenti di decadenza non a caso vedono aumentare il proprio potere. I referendum sono un ponte per riappropriarsi della cosa pubblica, una primaria terapia, una strada per la guarigione.
È per questo motivo che ha scelto di firmare i referendum promossi da Possibile?
Sì, ma non solo. Mi succede raramente di sperimentare una assoluta identità di idee, il che non mi consente “appartenenze”. In questi referendum e nel pensiero politico di Pippo Civati, però, mi ci ritrovo totalmente. Si avverte un grave trionfo dei sentimenti antiumani, forse causato dal progressivo venir meno del senso di appartenenza alla categoria. In piazza non ci si va più, se non per difendere piccole rendite, e invece la sinistra è sinistra quando si batte per i diritti altrui, cosa che non si vedeva da troppo tempo.