“Internet può essere un ottimo strumento per realizzare un sogno antico, ovvero, una democrazia forte, sostanziale, partecipata, deliberativa, continua. Una democrazia che, pur mantenendo un solido impianto rappresentativo, si avvalga del contributo diretto di cittadini che non sono più i contadini e operai spesso analfabeti del secolo XIX, ma cittadini istruiti, portatori di competenze che potrebbero contribuire in maniera importante al bene comune.” Per Juan Carlos De Martin (torinese nato in Argentina e vissuto anche negli Stati Uniti), professore al Politecnico di Torino che dal 2012 tiene un corso denominato “Rivoluzione Digitale”, la questione del progresso legato alla questione del digitale è fondamentale per disegnare la mappa dell’Italia che verrà: “Per far ciò, tuttavia, bisogna superare le forti resistenze di chi, nei partiti e fuori, trova che lo status quo sia perfettamente in linea coi propri interessi. Prima ancora che una questione tecnologica, quindi, la questione è politica: si tratta, infatti, di ridisegnare la mappa del potere, dandone di più agli iscritti, ai simpatizzanti e ai semplici cittadini e meno agli insiders. Questa è la sfida da affrontare con intelligenza e fiducia nei cittadini, questo l’unico vero antidoto a un futuro che, senza una decisa svolta democratica, vedo insidiato, da una parte, da pulsioni neo-autoritaritarie (quasi certamente plebiscitarie) e, dall’altra, da movimenti più o meno demagogici e irrazionali.”
Un problema politico, quindi. Ma c’è anche un’altra questione, ed è il tema della conservazione, e dell’utilizzo dei termini solo perché sono di moda senza che ci sia un vero e proprio progetto per mettersi in cammino verso un vero e proprio futuro digitale. Anche perché rischiamo di accumulare, anche in questo caso, un ritardo importante. “A questo punto, dopo molte speranze deluse, temo che ci vogliano persone nuove, persone a cui il digitale non vada ogni volta spiegato da zero. Purtroppo, infatti, la classe dirigente attuale ha in media una conoscenza estremamente superficiale delle questioni. Il tema è di moda, per cui se ne parla anche molto, ma non per vero interesse o per vera comprensione. Non sorprende, quindi, che alla fine il risultato complessivo a livello decisionale sia deludente. Ciò è grave non solo per noi che ci occupiamo di digitale – è grave per l’Italia! Perché non c’è dubbio che il secolo XXI sarà il secolo del digitale, così come il XIX è stato quello del vapore e della ferrovia, e il XX quello dell’elettricità e dell’automobile. L’Italia, già molto indietro, rischia di perdere ulteriore terreno. Per evitare tale rischio dobbiamo pianificare ed eseguire una rimonta che l’Italia, se adeguatamente mobilitata, è perfettamente in grado di fare.”
Problema tecnologico, problema politico, ma anche problema culturale. Tra fattori indicati da De Martin come fondamentali per cominciare a riflettere sulla questione. “Il divario digitale italiano ha tre radici principali: infrastrutturale, economica e culturale. L’infrastruttura digitale italiana è, per molti aspetti, una delle ultime in Europa; la larga banda non arriva in molte parti del paese e, dove arriva, è in media lenta. Il divario ha poi anche una radice economica perché molti italiani, nel mezzo della più grave crisi economica dagli anni degli ultimi settant’anni, semplicemente non ce la fanno a comprare computer o smartphone e relativa connessione dati a banda larga. E infine il divario è culturale, inteso sia come gravi carenze digitali dell’italiano medio (inclusi i più giovani: smettiamo di confondere il saper usare un po’ il tablet con l’avere una cultura digitale), sia inteso come deficit culturale di fondo degli italiani rispetto alla media dei paesi OCSE. Ecco perché spesso dico che la cosa migliore che potremmo fare per il digitale sarebbe investire molto di più in istruzione a tutti i livelli, dai bambini agli adulti. Ci vorrebbe, insomma, un vero e proprio Piano Marshall per l’istruzione degli italiani.”
Queste nuove sfide hanno bisogno di una proposta politica. E Juan Carlos De Martin si trova così in linea con le posizioni e le battaglie di Giuseppe Civati da essersi iscritto al Partito Democratico (“cosa ci fate voi lì fuori?”). “Pur appassionato da sempre alla politica – ovvero, ai problemi del vivere insieme – fino a pochi mesi fa non avevo mai preso seriamente in considerazione l’idea di iscrivermi a un partito. Parlando delle istituzioni e non delle singole persone, infatti, i partiti politici mi apparivano perlopiù opachi, autoreferenziali, privi di visione, per nulla inclusivi, in sostanza molto più interessati alla loro auto-perpetuazione che al bene del paese. Eppure ero convinto che una democrazia sana avesse bisogno di partiti; mancava però un’offerta adeguata. Poi mi sono imbattuto nel blog di Giuseppe Civati e ho iniziato a seguirlo. La prima cosa che ha colpito la mia anima illuminista è che Civati facesse un uso pubblico della ragione, mettendo nero su bianco le proprie riflessioni e i propri impegni. In secondo luogo mi ha colpito la sua coerenza, particolarmente apprezzabile visto che molti politici fanno fatica a restare coerenti per più di due mesi (a volte due giorni) di fila. Infine ho apprezzato che Civati, settimana dopo settimana, mese dopo mese, prendesse molto spesso posizioni politiche vicine alle mie. Con le primarie ho deciso, come cittadino interessato alla cosa pubblica, di voler fare qualcosa di tangibile per aiutare Civati, pensando naturalmente alla catena Civati → PD → Italia. Tanto più che nel frattempo si erano avvicinati a Civati non solo alcuni amici, ma anche alcune delle persone del Partito Democratico che più stimavo, come, tra gli altri, Walter Tocci e Fabrizio Barca. Ora il mio impegno – nel limite delle mie capacità e nel rispetto del mio ruolo di persona che crede nell’uso pubblico della ragione – è sia quello di sostenere le idee di cui Civati si fa promotore e portavoce, sia quello di aiutarlo a realizzare un nuovo modello di partito. Nel metodo, un partito che sia più trasparente, più inclusivo, più in grado di dialogare con la società. Nella sostanza, un partito che sia capace di articolare una visione del futuro ambiziosa e coinvolgente. Una visione radicata soprattutto in quell’articolo 3 della Costituzione che, a distanza di quasi 65 anni, è sempre di straordinaria attualità.”
#Civoti 26: Juan Carlos De Martin