Walter Tocci, classe 1952, fisico e filosofo, comunista poi democratico di sinistra poi democratico. Infine “nativo democratico”, come egli stesso chiama noi ventenni, proprio perché in testa ancora giovanissimo. Ex-sindacalista negli anni ’70, ex-consigliere comunale a Roma, ex-vicesindaco assessore ai trasporti della capitale degli anni ’90, ora Senatore e direttore del Centro per la Riforma per lo Stato.
Con lui ho incominciato dalla fine, chiedendogli come si fa, dopo tanto tempo, a rimettersi per strada in una sfida impossibile ma bellissima quale è quella della mozione Civati: “Mi sto proprio divertendo in mezzo a tutti i giovani che sto incontrando. E rifletto sulla ricchezza dello scambio generazionale: sono costretto a cercare uno sguardo nuovo sulla realtà. Se noi anziani non facciamo i conti con la nostra storia, non riconosciamo le nostre sconfitte, anzi le nascondiamo nella rimozione o nella nostalgia del passato, non potremo consegnare una vera testimonianza del nostro tempo. Allo stesso modo quei giovani che non hanno tradito nessuno cercano solo una mera rottamazione per continuare a fare le vecchie cose con un nuovo leader. Ma così rischiano di invecchiare prima di diventare adulti. I giovani nativi democratici, invece, possono consegnarci un pensiero del futuro se davvero si misurano con l’eredità ricevuta, facendone una critica rigorosa e superandola con una ‘sfacciata volontà di cambiare le cose’, per usare le parole di Paul Auster a commento della vittoria del sindaco De Blasio New York.”
Fa veramente bene al cuore pensare che possa esserci una diversa visione sui “giovani d’oggi”: “La potenza produttiva della vostra generazione è inusitata. Il valore aggiunto che scaturisce dalle vostre mani e dalle vostre menti non ha precedenti nella storia umana. Avete le testa nel mondo, siete nativi digitali, avete studiato in tanti, parlate le lingue, desiderate la trasparenza del potere, superate le angustie provinciali. Perché allora siete costretti a vivere male? Chi se la prende la ricchezza che producete e chi la spreca tenendovi disoccupati? Quale destino vi toglie il futuro? Non pensare all’elefante, cioè pensare alla rovescia del mondo attuale per progettare le vere riforme che migliorano la vostra vita. I primi socialisti parlavano di felicità ai proletari che pure soffrivano la miseria e lo sfruttamento. Anche Prodi usò questa parola nell’ultima battuta da leader politico nel duello televisivo con Berlusconi. Ma dell’Ulivo il piccolo Pd ha fatto tabula rasa e tornerà grande solo riscoprendo quella radice.”
Parliamo anche più strettamente di mere meccaniche politiche: “Diciamoci la verità: i notabili che comandavano prima si sono divisi nelle mozioni, ma dopo il congresso si ritroveranno per fare le solite cose. Non risulta che gli altri candidati li abbiano rifiutati. Davvero non si erano accorti dei modi spicci e arroganti di alcuni sostenitori? O vivono sulle nuvole oppure non riescono a tradurre le belle parole in fatti concreti. Questo collante si è già visto nell’elezione di molti segretari cittadini e bloccherà qualsiasi cambiamento dopo le primarie, come è già successo con Veltroni e Bersani. Per impedire che si chiuda di nuovo la porta bisogna mettere un cuneo. Se la nostra mozione si piazzerà tra le prime due sarà impossibile riunificare la vecchia guardia al comando. Il voto a Civati vale per tre perché aiuta anche Renzi e Cuperlo a rifiutare la cogestione notabilare e a valorizzare le forze migliori che hanno saputo suscitare con le loro proposte. Solo così questi tre leader potranno voltar pagina rispetto alla stanca gestione degli eredi Ds e Margherita e fondare il Pd dei nativi democratici.”
È poi entusiasmante, per lo stesso entusiasmo con cui me lo descrive, pensare ad un Pd che si realizzi nelle idee che Walter mi elenca: un “partito-sistema operativo”, un partito che coinvolga e mobiliti, un partito che produca “cultura nell’azione sociale”: “Le vera riforma si realizza quando i cittadini sono messi in condizione di elaborare e di apprendere una nuova forma di vita collettiva. Nella società della conoscenza la politica ha senso se riesce a socializzare i saperi. Ricordo che un tempo il contadino analfabeta imparava in sezione ad analizzare la politica internazionale. Oggi vedo brillanti laureati che entrano nel partito e fanno carriera mentre regrediscono culturalmente.” E ancora: “Mi piacerebbe un progetto Erasmus-Pd che dia la possibilità ai nostri giovani di andare all’estero a fare esperienze presso altri partiti democratici e di sinistra e viceversa di ospitare i loro coetanei da noi. Non per frequentare il mondo-della-politica ma per conoscere la politica-mondo.” Quindi l’appello per “una festa nazionale diversa dal solito, una grande fiera che esponga i risultati dei migliori riformatori, da un sindaco che restituisce ai pedoni la sua città, a un circolo che inventa nuove forme di partecipazione a un’associazione che fa vincere un diritto.”: “Sarebbe molto più interessante della solita intervista giornalistica al nome famoso che continua a recitare Ballarò alla festa dell’Unità.”
E con la sua esperienza, Walter mi spiega qual’è la differenza, nelle attitudini, nei comportamenti, nelle tendenze, tra amministrare ed essere alti dirigenti politici: “L’amministratore risponde alle domande, il politico crea le domande. Il primo sa anticipare i bisogni e rendere più esigenti i suoi cittadini, cioè sa fare politica governando. Se non ne è capace si statalizza, cioè introietta la logica burocratica e gestisce solo spesa pubblica in cambio del consenso. Il secondo sa come ottenere risultati parziali che rendono più credibile il suo progetto per il futuro, cioè è capace di dare risposte concrete facendo politica. Ma se perde questo ancoraggio sociale rischia di essere risucchiato nel circuito mediatico della personalizzazione e alla fine si scopre un capo solitario incapace di decidere. Fare esodo dalla doppia servitù, sia dalla statalizzazione sia dalla personalizzazione, è la via per riscoprire la politica come esperienza di libertà.”
Infine, un passaggio di testimone, fondamentale: “L’attuale crisi non è la solita rottura di un ciclo economico. Molti pensano che si possa ricominiciare come prima: i poteri economici ripropongono le stesse ricette che ci hanno messo nei guai; anche una certa sinistra si illude che finito l’inganno liberista si possa tornare agli anni settanta. La chiamiamo crisi ma si tratta di una trasformazione del capitalismo che mette in discussione la geopolitica, i modi di produzione e gli stili di vita. Viene meno il vecchio mondo e il nuovo non sapppiamo come sarà. E’ un momento ad alta intensità politica, è possibile incidere sul corso del mondo. Per la sinistra è l’occasione di mettere qualcosa di suo nel passaggio d’epoca. Per voi giovani è tempo di prendere in mano la guida del cambiamento.”
#civoti 12: Walter Tocci