La metà. O poco più, se siete inguaribilmente ottimisti. Il Pil pro capite al Sud è appena il 53,7% di quello del Nord Italia, arrivando così a segnare il divario più sostanzioso mai registrato dall’inizio del nuovo millennio. La metà, o poco più, appunto.
Questo si legge nelle anticipazioni del rapporto annuale della Svimez, presentato giovedì 30 luglio a Roma. Dai dati raccolti dall’associazione, emerge la fotografia di un Paese diverso da quello che si tenta di raccontare, in cui, se c’è una parte che riesce in qualche modo a segnare andamenti, anche solo lievemente, positivi, ce n’è un’altra che arranca, quando non addirittura precipita, facendo registrare una tendenza di crescita nel primo decennio del secolo pari ad appena il 13%, mentre i dirimpettai greci vedevano crescere la loro ricchezza nazionale prodotta del 24: la metà, o poco più, di nuovo.
Come la metà, o poco più, il 56%, sono i ragazzi under 24 senza un impiego, mentre sono solo una su cinque le donne che lavorano. Negli stessi anni di crisi in cui le regioni settentrionali vedevano scendere il numero degli occupati dell’1,4%, in quelle meridionali la caduta è stata del 9, arrivando a totalizzare, seppur rappresentando appena un quarto della forza lavorativa del Paese, il 70% delle perdite complessive di posti di lavoro.
Il Rapporto è un bollettino di guerra: investimenti (-38% in sei anni), spese in conto capitale (-17,3 miliardi di euro dal 2000), consumi (tredici punti percentuali in meno cumulati fra il 2008 e il 2014), tutti gli indicatori segnano un regresso continuo e pesante, tanto che un terzo degli abitanti del Mezzogiorno è a rischio povertà, con punte da tempi che si credevano lontani in Sicilia (41,8%) e Campania (37,7%).
Con elementi e scenari del genere, si rischia la desertificazione. Ma un deserto non è abitato. Stima l’associazione capitolina che nei prossimi 50 anni al Sud potrebbero perdersi 4,2 milioni di abitanti, quanti quelli di Roma e Milano messi insieme. E verso Roma e Milano, verso il Centro-Nord, sono andati negli ultimi quindici anni circa un milione e seicento mila persone che, a fronte dei rientri, portano a meno 750 mila il saldo migratorio netto interno, a cui vanno aggiunti quelli partiti per l’estero.
Di questi, oltre 200mila sono i laureati, con un conseguente impoverimento culturale e delle professionalità nei territori d’origine, e ben oltre mezzo milione avevano alla partenza un’età inferiore ai 34 anni. Ecco perché il tasso di natalità è sceso fino a 1,31 figli per donna: se i giovani vanno via, rimangono i vecchi, non i bambini.