Una quota che oscilla tra il 60–70% di neoleaureati che non trova un lavoro. Una percentuale superiore al 35% di giovani senza un’occupazione e fuori dal mondo della formazione. Un reddito procapite compreso tra 10mila e 17mila euro. E un primato tutt’altro che invidiabile: Sicilia, Calabria, Campania e Puglia figurano tra le cinque peggiori regioni dell’Unione europea nel rapporto tra popolazione in età lavorativa e popolazione attiva.
Ecco, chi ancora teme che l’Italia possa fare “la fine della Grecia” deve fare i conti con una realtà drammatica: il Sud Italia è già come la Grecia. In alcuni casi è messa anche peggio, solo in pochi è lievemente avanti (sul reddito procapite, per esempio, le zone più depresse della Grecia risultano dietro al Mezzogiorno). La fotografia, scattata dall’Eurostat regional yearbook del 2018, non è nemmeno un campanello d’allarme: è un allarme rosso che suona, inascoltato. Senza lasciare spazio a dubbi: la questione meridionale, per usare un termine dalla portata storica, si è aggravata. E, a vedere come se ne parla, è diventata una questione caricaturale. Perché la Grecia, e non si parla di storia e cultura, è già un paragone presente, non uno scenario.
L’attenzione mediatica è stata colpita in particolare dal fenomeno dei Neet, acronimo di not in education, employment or training. In una parola: persone ferme. Non studiano, non si formano e, figurarsi, non lavorano. Nella fascia d’età compresa tra i 18 e i 24 anni, il dato è catastrofico: in Sicilia è al 39,6%. Non va granché meglio in Campania (38,6), Calabria (36,4%) e Puglia (36%). La compagnia europea è formata dal Peloponneso, le Isole Ionie e le aree delle Grecia centrale. Peggio del Mezzogiorno c’è solo la Guyana francese. Il quadro complessivo dei Neet, compresi nella fattispecie tra i 18–34 anni, è ancora più inquietante: l’Italia è ultima (trascinata dai disastrosi dati del Sud), con il 29,5%. Fanalino di coda anche dietro alla Grecia, che si attesta al 28,8%. La media dell’area euro è al 18%, l’esempio perfetto è la Svezia: con il 7,8%. Gravissimo. Ma c’è anche di peggio.
L’altro aspetto che infatti evidenzia quanto la questione meridionale sia ormai approdata al modello greco riguarda l’inserimento nel mondo del lavoro dei laureati al Sud. “Nel 2017 ci sono 14 regioni in cui meno della metà di tutti i neolaureati hanno trovato lavoro. Queste regioni erano situate prevalentemente in Grecia e nell’Italia meridionale, dove sono stati registrati i tassi più bassi nell’Ue, ad esempio, la Campania (36,4%), la Sicilia (32,2%) e la Calabria (28,3%); tassi molto bassi sono stati registrati anche in due regioni francesi, la Martinica e La Réunion”, scrive testualmente Eurostat.
L’istituto di ricerca emette una sentenza amara: le regioni meridionali sono fanalino di coda per quanto riguarda lavoro nel suo complesso, indipendentemente da età e livello di istruzione. “I tassi di occupazione più bassi per le persone di età compresa tra 20 e 64 anni — rileva l’Eurostat — sono localizzati più frequentemente nelle regioni meridionali dell’Ue. Nel 2017 ci sono state cinque regioni in cui meno della metà della popolazione in età lavorativa era attiva: quattro erano nell’Italia meridionale — Sicilia, Calabria, Campania e Puglia — mentre l’altra era la regione francese Mayotte. Il tasso di occupazione regionale più basso è stato del 44,0%, registrato dalla Sicilia”. Con un ulteriore grafico che segnala in rosso l’allarme: la disoccupazione è “di lunga durata” al Sud (e in realtà la macchia si sta spostando pure verso il Centro). Un male cronico, specchio fedele della questione meridionale. Sparita dall’agenda politica italiana, nonostante le grandi promesse che l’hanno fatta diventare caricaturale.