[vc_row][vc_column][vc_column_text]La crisi climatica è in atto. Lo scioglimento dei ghiacci, le anomalie di temperatura che coinvolgono diverse parti del mondo, l’esaurimento delle risorse della terra, sono un fatto quotidiano. Maccrisi climatica significa soprattutto crisi del modello di vita associata che gli uomini hanno evoluto soprattutto negli ultimi due secoli. Una crisi che comporta l’abbandono forzato della terra in cui si è nati, per cercare rifugio altrove, nella fascia temperata, che a sua volta si sposta e si riduce lungo i meridiani. Quando il sud del mondo incontra il nord del mondo, la crisi diventa conflitto tra esseri umani. È questo ciò che ci aspetta? Un futuro di guerra? Di scarsità di risorse, di territori divenuti invivìbili, di territori contesi?
Sarà un futuro di persone in fuga.
Se la risposta a questo Grande Sconvolgimento (the great derangement, così lo chiama Amitav Ghosh) sarà una risposta di paura e conservazione, di arroccamento e difesa, di chiusura e esclusione come sta già avvenendo in buona parte dei sistemi democratici occidentali e dei sistemi meno affermati democraticamente, come i paesi dell’Est europeo, allora sarà come gettare benzina sul fuoco e, alla già preoccupante disuguaglianza, si aggiungeranno ulteriori sperequazioni e divisioni, mettendo a repentaglio proprio quei diritti dell’uomo che tuttora consideriamo fondamentali.
Le stime parlano di milioni di persone che nei prossimi trent’anni saranno costrette a scappare, ad abbandonare case e villaggi, muovendosi all’interno di uno stesso paese oppure valicando quei confini che la geografia non conosce ma che l’uomo ha tracciato a forza di cannoni e sangue.
Tuttavia è stato fatto ben poco sinora per definire giuridicamente — e in modo internazionalmente riconosciuto — lo status di rifugiato climatico. Al momento, infatti, non esiste alcun accordo internazionale che stabilisca la protezione delle vittime del cambiamento climatico, dei disastri naturali o umani. Sinora il rifugiato è colei o colui che ha oltrepassato un confine con il «timore di subire persecuzioni in ragione della propria razza, nazionalità, religione, opinioni politiche ed appartenenza ad un gruppo sociale» (cfr. Convenzione di Ginevra del 1951 e Protocollo relativo allo status di rifugiato del 1967). In buona parte, però, i migranti ambientali o climatici sono sfollati interni e soprattutto non sono soggetti ad una minaccia persecutoria.
A questo testo fondamentale hanno fatto seguito solo alcune convenzioni, la Convenzione dell’Organizzazione dell’Unità africana del 1969 e la Dichiarazione di Cartagena sui rifugiati del 1984, come i Principi guida dell’ONU sugli sfollati interni del 1988. Nessuna di queste ha determinato l’approvazione di disposizioni cogenti a livello internazionale.
Il 19 marzo 2018, la Banca Mondiale ha pubblicato un documento importante, intitolato Groundswell: Preparing for Internal Climate Migration. Il rapporto è focalizzato sull’area subsahariana, il sud-est asiatico e l’America latina: la stima, limitata a queste regioni, è di 143 milioni di sfollati interni, al netto dei conflitti armati, entro il 2050. Le azioni volte a mitigare i gas climalteranti potrebbero ridurre questo impatto a 40 milioni di sfollati, cifre comunque elevate. Stiamo parlando di paesi con una bassa capacità di far fronte a situazioni di crisi di questa portata, che metterebbero in dubbio persino sistemi organizzativi pubblici attrezzati come quelli occidentali. Il fattore climatico sarebbe quindi l’innesco per ulteriori crisi e ulteriori movimenti di persone che, dagli scenari di carestia e distruzione cercherebbero scampo altrove, lungo le tratte già consolidate delle migrazioni.
Nella legislatura appena chiusa, il Parlamento europeo ha approvato una risoluzione (2017/2086(INI)) in cui si «chiede che lo sfollamento indotto dal clima venga preso seriamente» in considerazione e che sia aperta «una discussione sull’adozione di una disposizione sulla “migrazione climatica”» e quindi «istituire un gruppo di esperti per valutare tale questione su scala internazionale».
Esiziali le parole dell’odierno ministro degli interni, Salvini, a commento di tale presa di posizione: «Cos’è il migrante climatico? Dove va? Se uno in inverno ha freddo e in estate ha caldo, migra? Siamo seri. Ne abbiamo già tanti. Il migrante climatico è anche uno di Milano a cui non piace la nebbia?».
L’ottusità di chi governa il nostro paese è stata nuovamente messa in mostra lo scorso dicembre quando, al summit di Marrakech, i rappresentanti di 150 paesi del mondo hanno approvato il Global compact for migration delle Nazioni Unite (Unfccc, United Nations framework convention on climate change). Il testo comprende 23 obiettivi per una migliore gestione della migrazione a livello locale, nazionale, regionale e globale. La segretaria esecutiva dell’Unfccc, Patricia Espinosa, ha ricordato che «gli effetti degli impatti dei cambiamenti climatici in una parte del mondo non si sentono solo lì. Quell’impatto si increspa verso l’esterno e si sente in continenti lontani. Siamo tutti collegati». Una di queste “increspature” sono i migranti climatici. Le raccomandazioni dell’Unfccc sono volte a promuovere un approccio di tipo integrato per prevenire, minimizzare e affrontare le migrazioni legate al climate change e per riconoscere eventi estremi quali siccità, desertificazione e innalzamento del mare tra i motivi che costringono le persone a lasciare le proprie case. Non un testo vincolante, quindi, neanche un testo che prevede particolari adempimenti: siamo ancora nel campo delle asserzioni di princìpi.
Nonostante ciò, il presidente del consiglio Conte ha disertato la conferenza. L’Italia non ha quindi sottoscritto il documento, di fatto smentendo Moavero Milanesi, il suo stesso ministro degli Esteri, che durante i lavori dell’assemblea generale dell’ONU a New York, aveva detto che «l’Italia è soddisfatta dal processo negoziale in corso, la bozza finale rappresenta un compromesso molto buono».
Infine, lo scorso 27 febbraio la Camera dei deputati ha approvato una mozione di Fratelli d’Italia che chiede di non sottoscrivere il Global compact for migration, con il voto favorevole di Lega e Movimento 5 stelle. Il futuro, e il suo carico di crisi e di minaccia, non è mai stato così maltrattato come in questa legislatura. [/vc_column_text][/vc_column][/vc_row]