Sabato 16 novembre eravamo a Roma, in Sapienza, per l’assemblea contro il ddl 1660, già ribattezzato ddl “Paura”, o “Repressione”, o “Ungheria”, a indicare dove l’attuale maggioranza parlamentare intende portarci.
Alla richiesta di politiche adeguate per l’abitare, il governo risponde rendendo reato non solo le azioni di rivendicazione e mutualismo, ma anche il trovarsi in una semplice condizione di povertà grave. Si introduce il reato di “occupazione arbitraria di immobile destinato a domicilio altrui” con pena da 2 a 7 anni di reclusione sia per l’occupante sia per chi coopera con esso. Inoltre, si dà alla polizia il potere di sgomberare immediatamente l’immobile.
La “norma anti-Salis”, spacciata per bloccare “quelli che ti occupano casa mentre sei in vacanza”, in realtà colpisce chi occupa immobili in stato di abbandono, spesso di proprietà di enti per le case popolari, da anni de-finanziati, che, ad oggi, per scoraggiarne “l’occupazione arbitraria”, murano porte e finestre dei loro edifici non utilizzati e rompono i sanitari, consapevoli della fame di alloggi, aggravata dall’affollamento delle grandi città e dalla piaga degli affitti brevi.
Il governo dirà di aver fatto qualcosa contro la precarietà abitativa — in effetti ha ridotto la metratura minima per l’affitto di un immobile, da 28 a 20 metri quadri per una persona, da 38 a 28 per due persone. Insomma, via libera all’affitto di loculi, prigione per chi li occupa. Riguardo ai senzatetto che si rassegneranno a vivere per strada, il ddl punirà anche il vagabondaggio.
Per quanto riguarda le rivendicazioni dei lavoratori, la re-introduzione del reato di blocco stradale, con pene da 6 mesi a 2 anni a carico di coloro che effettuano un blocco stradale o ferroviario “con il proprio corpo e con più persone riunite”, norma che si è detta volta a colpire i manifestanti per il clima, risulterà utile contro i picchettaggi, fondamentali per le ultime vittorie, in termini di ore e salario, dei sindacati nella logistica.
La stretta repressiva comprende anche l’abolizione di obbligo di rinvio della pena in caso di donna incinta o madre di un bimbo di età inferiore a un anno (quindi il figlio potrà finire in carcere), nonché il divieto di considerare le attenuanti per i reati di violenza, minaccia e resistenza contro un ufficiale o agente di polizia.
Infine, non c’è pace neanche in carcere: fino a 20 anni di detenzione per chi “promuova, organizzi o diriga una sommossa con atti di violenza o minaccia, di resistenza anche passiva all’esecuzione degli ordini o con tentativi di evasione, commessi congiuntamente da tre o più persone”. Ci sarebbe di chiedersi dove si verificano “tentativi di evasione, commessi congiuntamente da tre o più persone”. Risposta: nelle carceri minorili (riempite dal cosiddetto decreto Caivano) e nei CPR, che formalmente non sarebbero prigioni, ma nei fatti sono luoghi anche peggiori.
All’Assemblea in Sapienza bene ha detto chi ha dichiarato: “Passiamo da uno Stato sociale, come voluto dai nostri costituenti, a uno Stato penale, che è quello del governo Meloni”.
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Qui puoi leggere il report dell’assemblea, pubblicato da Dinamopress. Con Possibile sosteniamo la mobilitazione e invitiamo i comitati a partecipare alle assemblee locali che si stanno preparando in previsione della manifestazione che si prevede di organizzare per il 14 dicembre.