[vc_row][vc_column][vc_column_text]Sembra di urlare dal centro di una stanza insonorizzata, o da infondo al mare. Sembra che il suono della propria voce non venga percepito dal resto del mondo, che intanto continua a affaccendarsi in faccende che ritiene importanti, senza voler sentire, senza nemmeno accorgersi di cosa stia accadendo realmente.
E’ una sensazione che gli ecologisti conoscono benissimo, che si tramandano da generazioni… Mentre, nel disinteresse colpevole dei potenti, la dimensione dei mostri da combattere aumenta a dismisura.
Stavolta ci stiamo giocando la possibilità che il pianeta conservi le preziose e delicatissime condizioni che lo hanno reso ospitale per i meravigliosi ecosistemi che abbiamo conosciuto e per il proliferare di quello che ha preso le sembianze di un potentissimo e distruttivo parassita, cieco e ingrato: il genere umano.
L’IPCC, il più autorevole organismo scientifico delle Nazioni Unite, costituito proprio per mettere assieme gli studi e le menti più autorevoli del pianeta in riferimento ai cambiamenti climatici, ha in queste ore pubblicato un rapporto a dir poco drammatico sull’innalzamento della temperatura media del pianeta e sulla conseguente accelerazione dei cambiamenti climatici, già innegabilmente e violentemente in atto.
Un innalzamento di 1,5°C rispetto alla temperatura media pre-industriale, che nel corso COP21 di Parigi tenutasi nel 2015, era stato indicato come il massimo ammissibile per contenere i danni (contenere i danni, non certo annullarli!) sembra ormai quasi ineluttabile, raggiungibile addirittura a partire dal 2030, a meno che non avvenga una specie di miracolo collettivo e i potenti della Terra decidano di ridurre le emissioni di CO2 in atmosfera del 45% entro il 2030 per renderle nulle entro il 2050.
Tra 1,5°C e 2°C, poi, soglia massima indicata dalla scienza per evitare la catastrofe, si gioca la partita più importante che il mondo abbia affrontato. Mezzo grado che, per esempio, farebbe scomparire Venezia (come diverse nazioni insulari, isole minori e città costiere), ucciderebbe completamente le barriere coralline, provocherebbe ondate di siccità catastrofiche che, come segnala l’IPCC, distruggerebbero completamente la possibilità che Paesi in via di sviluppo possano diventare luoghi vivibili e salubri, acuendo migrazioni di massa, distruzione, ingiustizia, guerra. Sembra fantascienza, della più spaventosa.
Solo che non è un film di Hollywood dove un manipolo di eroi poi rimette tutto a posto. E’ quello che vivremo noi tra qualche lustro (sempre che un’ondata di calore cittadina o un evento climatico estremo, in un Paese che abbiamo reso di pasta frolla, non ci uccida prima) e, soprattutto, è quello che vivranno i nostri figli e le generazioni a venire.
Mentre si dibatte sulla quota di debito pubblico più facilmente monetizzabile, nessuno dei potenti politici o dei potentissimi indirizzatori dei dibattiti pubblici (in particolare in Italia) che si occupi davvero del debito ambientale che abbiamo accumulato e che continuiamo ad accumulare, saccheggiando ferocemente il futuro e distruggendo in maniera irreversibile il capitale naturale del nostro Pianeta. Non che non ci siano autorevoli voci che si levano, ma ne parliamo in pochi. Troppo pochi. E restiamo completamente e drammaticamente tagliati fuori dai dibattiti mediaticamente rilevanti.
Lo so. Non dovrei fare la catastrofista perché “non piace”, non porta like, non porta consenso (soprattutto politico). Dovrei continuare piuttosto nel comunicare visioni positive di benessere diffuso, aria respirabile, cibo buono e non avvelenato, mobilità accessibile e dolce, città sicure e vivibili perché vissute da persone che le animano davvero, lavoro pulito, futuro bello, futuro aperto, futuro! Dovrei sforzarmi di mostrare che combattere i cambiamenti climatici, in fondo, è combattere per la giustizia sociale, per l’inclusione, per i diritti, per la sicurezza, la salute, la felicità di tutti. Dovrei. Lo so. Ed è quello che provo a fare ogni giorno. Ma oggi non riesco.
Oggi sono troppo arrabbiata perché i cavalcatori di paura e odio a scopo propagandistico e manipolatorio non sono minimamente interessati a diffondere l’unica paura che dovremmo avere tutti. Così dirompente che dovrebbe (e potrebbe!) mettere in moto la più potente rivoluzione collettiva che il mondo abbia mai visto. Sono troppo preoccupata perché nel mondo l’ondata di odio, intolleranza e sovranismo si collega strettamente, ovunque, ad un anti-storico negazionismo (Trump sostiene che i cambiamenti climatici siano un invenzione della Cina per rovinare l’economia statunitense, elimina limiti su pesticidi, centrali a carbone e persino per l’amianto!); perché il “governo del cambiamento”, oltre ad aver perso il braccio di ferro con la Lega nella scrittura del “contratto di Governo” provocando la sparizione di modi, strumenti, tempi e risorse dal capitolo “transizione energetica” e dimenticando completamente che agricoltura, pesca, suolo sono cruciali in questa battaglia, ha, per il momento, balbettato gravemente nel concretizzare promesse potenzialmente altissime (in alcuni casi già rimangiate).
Oggi sono troppo arrabbiata, infine, perché non sono convinta che sia chiaro ad un fronte sufficientemente ampio di forze quanto la dimensione europea sia assolutamente cruciale, strategica ed irrinunciabile (anche!) nella battaglia contro i cambiamenti climatici: dobbiamo poter ipotizzare di avere la forza di fare la nostra parte in un processo globale, dove gli avversari sono potentissimi e gli interessi economici in ballo ben superiori a ogni singola nazione. Eppure, anche qui, nel dibattito tutto galleggiante, autoreferenziale e superficiale di queste settimane, ascolto ben poco di rassicurante.
Non riesco quindi, oggi, ad essere ottimista. E così non posso fare altro che dare voce all’indefessa attivista (che è in me, alla faccia dei mangiatori di futuro!) e provare ad attivarmi ancora di più, ancora con maggiore forza e determinazione. E lo faccio chiedendo aiuto.
A tutti quelli che della passione per la transizione ecologica di economia e società hanno fatto una professione, un’impresa, un’impegno politico, una battaglia.
A quelli che credono che nella COP21 di Parigi e nei 17 obiettivi per lo sviluppo sostenibile dell’ONU ci siano tutte le risposte che servono.
A quelli che vogliono fare di questa rabbia e di questa visione mortificata una spinta per cambiare le cose, prima di venirne distrutti.
Incontriamoci. Ritroviamoci e guardiamoci in faccia (magari attraverso una connessione web, magari moltiplicando gli incontri in diverse città). Parliamoci e proviamo assieme a spingere in una direzione diversa, su piani diversi, ognuno con le proprie peculiarità, i propri ambiti, la propria esperienza, le proprie appartenenze.
Facciamolo davvero. Entro poche settimane da oggi.
Possibile c’è, e mette a disposizione le proprie competenze ed energie (a partire da un comitato scientifico potenziato e allargato, con Lucio Cavazzoni e Rossella Muroni, che ha fatto dell’ecologia una pietra angolare, passando per i comitati territoriali impegnati su singole battaglia, fino alla possibilità di attivare le relazioni consolidate con esperti, associazioni e movimenti, cominciando da Green Italia).
Facciamolo appena possibile. Che tempo non ce n’è più. #PrimaDelDiluvio
P.S. Se avete voglia di costruire assieme l’incontro, di esserci o di dare una mano in qualche modo, scrivetemi qui: annalisacorrado.green@gmail.com[/vc_column_text][/vc_column][/vc_row]