Mentre nei territori si combatte con le carenze dei mezzi pubblici, messi in crisi dai doppi turni alle scuole superiori e dalle capienze limitate causa pandemia, qualcuno ha deciso che sia la scuola a dover realizzare la “transizione ecologica” (finora, più che altro, una retromarcia). E non da un punto di vista educativo, come già si fa, ma nella pratica: un docente sarà mobility manager e dovrà sostanzialmente organizzare il tragitto casa-scuola degli studenti affinché esso sia sostenibile.
Se c’è una cosa che la scuola insegna a ogni alunno è che non si può mai improvvisare: si deve essere preparati prima di cimentarsi in qualsiasi attività.
Ebbene, ora si chiede ai docenti di improvvisarsi mobility manager, quindi di sottrarre tempo ed energie allo studio, alla correzione dei compiti, alla personalizzazione della didattica per fare gratuitamente un altro mestiere per il quale non hanno alcuna formazione. Ciò, non dimentichiamolo, in territori in cui spesso i mezzi pubblici sono inesistenti e gli enti locali latitanti.
Ma perché la scuola deve supplire alle mancanze della politica? Il trasporto pubblico e la mobilità non sono forse competenza degli enti locali? Che tocchi a loro occuparsene.
La verità è che si tratta dell’ennesimo tentativo di greenwashing: si finge di fare qualcosa nella direzione della mobilità sostenibile e lo si fa fare gratis e senza alcuna riduzione di orario ai docenti — uno per scuola — che se ne dovrebbero occupare. Gli insegnanti sembrano la categoria professionale a cui si può chiedere di lavorare di più senza alcun rientro economico, data l’elasticità mentale e un senso del dovere che li porta a sottrarsi alle richieste molto raramente.
La questione non è puramente venale: riconoscere un pagamento, anche minimo, e la specificità della propria formazione (per cui si ha la professionalità per svolgere una mansione specifica e non un’altra) significa riconoscere dignità al lavoratore.
La risposta, lo chiediamo alle organizzazioni sindacali, può essere solo quella di rispedire la richiesta al mittente. Non siamo jolly a cui si può chiedere di fare tutto, non siamo tuttologi: abbiamo le nostre specializzazioni e la nostra professionalità.
Ridateci il tempo dello studio e dell’insegnamento, ridateci la dignità della nostra professione e smettete di farci fare i “peracottari”, costringendoci a improvvisarci, ancora, in un lavoro che non è il nostro: ne va della qualità dell’istruzione dei vostri figli.
Sandra Penge e Rosalba Bonacchi
Comitato Scuola Possibile