[vc_row][vc_column][vc_column_text]Insieme ai più piccoli, le famiglie sono le grandi dimenticate dalla moltitudine di decreti e proroghe pubblicati dal Governo e, con loro, i servizi dedicati.
Per loro natura, le imprese che svolgono la funzione di asilo nido non godono di grande liquidità (specialmente le imprese giovani, con meno di 5 anni all’attivo) e, come se non bastasse, le attività si svolgono in locali di diversa tipologia e, di conseguenza, soggetti a diversi accatastamenti immobiliari (come appartamenti, uffici o ex capannoni).
Questi elementi non permettono di godere delle agevolazioni previste dal decreto Cura Italia, che sono state pensate per gli affitti di tipo commerciale (e non tutti).
In ogni caso, l’agevolazione prevista per gli affitti consentita ai locali C1 non sarebbe così vantaggiosa per queste realtà, dato che la detraibilità dalle imposte non risolve il problema legato alla ridotta liquidità.
Il contratto di categoria ANINSEI (Associazione Nazionale Istituti Non Statali di Educazione e di Istruzione), inoltre, non prevede la Cassa Integrazione per il personale dipendente di queste strutture: alcuni asili si sono organizzati e hanno fatto domanda per aderire ad un Fondo di Integrazione Salariale per poi stipulare un accordo laterale con i sindacati. L’accordo è stato firmato il 30 Marzo: dopo più di un mese dalla chiusura delle attività.
E ad oggi non è ancora dato sapere quando l’INPS verserà gli stipendi per coprire le settimane di chiusura (siamo già alla settimana numero 10).
Le uniche alternative per queste realtà imprenditoriali si esauriscono nel buon cuore (e nelle possibilità) delle famiglie, oppure col mettersi nelle mani delle banche e dei loro tassi di interesse, facendosi carico di un più alto rischio di impresa, con tutti i dubbi e le insicurezze che le circostanze impongono.
In poche parole: se le famiglie non pagano le rette per il servizio non erogato, gli asili chiudono.
E questo si traduce in enorme danno economico: perché il valore aggiunto complessivo di un Sistema Paese non deriva solo dalla produzione industriale ma – soprattutto in Italia — anche dal settore dei servizi, il più penalizzato da questa pandemia: le attività che hanno chiuso per prime e che riapriranno per ultime sono le meno tutelate, a dimostrazione del fatto che se non si ha alle spalle una lobby forte come quella degli industriali, moltissime imprese e lavoratori vengono completamente dimenticati dallo Stato ed esclusi dai suoi provvedimenti, con il risultato che non possono fare affidamento su alcun tipo di tutela.
E tutto questo, oltre al danno per le imprese, rappresenta un grande problema sociale, tanto per le famiglie che per la collettività.
Perché il benessere dei più piccoli non si esaurisce all’ora d’aria, ma investe tutto l’impianto dei servizi alla famiglia e la società in generale.
Perché la didattica da remoto la si può fare con bambini o ragazzi un po’ più grandi, ma i bimbi di età compresa tra i 6 mesi ai 5 anni difficilmente si gestiscono con attività e giochi riprodotti su un monitor: per loro non fa molta differenza dal guardare un film di animazione, e la loro attenzione scema in pochi minuti.
E neanche si può ignorare il servizio fondamentale fornito dagli asili, che permettono di liberare uno dei familiari dalla cura a tempo pieno dei figli, garantendo così ad una più ampia fetta di popolazione di emanciparsi e partecipare al mercato del lavoro: normalmente, in Italia, le madri.
Il Sindaco di Milano ha dichiarato che le rette degli asili nido pubblici verranno rimborsate o abbuonate per compensare un servizio, di fatto, non erogato.
Bene, ma non benissimo:
Chi ci governa, a tutti i livelli, dovrebbe essere al corrente del fatto che molte famiglie si rivolgono ai nido privati non tanto in funzione di una elevata disponibilità economica ma, molto più spesso e più banalmente, perché i bambini non rientrano nelle graduatorie per accedere al nido comunale.
Questo aspetto è dirimente, anche per marcare una differenza con le scuole private o paritarie: lo Stato garantisce la copertura per la scuola dell’obbligo, e l’asilo non lo è.
Per non parlare poi dell’enorme disagio a carico dei bambini, che vengono sradicati da realtà che nelle loro brevissime vite hanno occupato uno spazio fisico e temporale enorme, e che rischiano di interrompere bruscamente un percorso che, una volta iniziato, è fondamentale per la loro crescita ed il loro sviluppo cognitivo.
E le rette degli asili nido privati partono da un minimo di 700 euro per un full time di 8 ore al giorno per 5 giorni alla settimana.
Cifre non proprio contenute, che le famiglie continuano a pagare per un servizio di cui non usufruiscono perché, di fatto, non può essere erogato per decreto governativo e per il quale dovrebbero essere pensate delle forme di compensazione come avviene per i nido comunali di molte città le cui rette verranno rimborsate o non versate.
E non è certamente sufficiente il “bonus baby sitter”: un voucher di 600 euro (per un periodo che inizia il 24 febbraio e arriva fino ad oggi: 6 settimane, per il momento) erogato tramite il libretto di famiglia.
Una cifra che copre a malapena una settimana di servizio: perché non è possibile trovare baby sitter – personale qualificato, a cui affidiamo la cura e l’educazione dei nostri figli — per meno di 15 euro l’ora, che per 8 ore al giorno per 5 giorni lavorativi fanno 600 euro esatti.
Ammesso e non concesso poi che, in questa fase un po’ strana, ci siano persone di fiducia disposte a trascorrere intere giornate a strettissimo contatto con quelli che sono stati identificati come i peggiori veicoli di contagio per un virus che sembra non avere un particolare impatto su di loro: i bambini. E viceversa.
In molti — che evidentemente non vivono il problema — suggeriscono di ritirare i bambini: tanto le scuole non riapriranno, almeno risparmiate i soldi, ci rivediamo a settembre. Ma non funziona esattamente così: il settore in questione è molto diverso da altre realtà imprenditoriali piccole o grandi, e parte da una situazione di svantaggio a cui non può sommarsi la perdita dei pagamenti attesi.
Chiediamo allora al governo di prevedere delle tutele per queste realtà, almeno nella misura minima capace di coprire una parte dei costi fissi, come è stato fatto per le attività commerciali.
E, dal lato famiglia, chiediamo l’erogazione di un’agevolazione analoga al bonus baby sitter, per compensare il pagamento di rette da parte di famiglie che continuano a sostenere l’attività di chi si è preso cura dei loro bambini, sebbene non usufruiscano del servizio, nella speranza di trovarla ancora lì, pronta ad accoglierli, quando tutto questo sarà finito.[/vc_column_text][/vc_column][/vc_row]