Lavoro in un centro commerciale della bergamasca e ne conosco sufficientemente bene la realtà. All’interno di questi “mostri” sono varie le figure che vi prestano servizio: dipendenti dell’iper/supermercato, dipendenti delle attività commerciali presenti, dipendenti delle società che erogano i servizi in contratto di appalto.
Iniziamo con i lavoratori degli iper/supermercati: di norma sono i dipendenti con i contratti migliori. La stragrande maggioranza sono contratti a tempo indeterminato, full o part time, alcuni vengono assunti a tempo determinato. Nonostante la tipologia di contratto sono comunque lavoratori che devono essere disposti a cambiare mansioni. Vi sono cassiere che passano dal loro lavoro principale al centralino, all’imbustamento (la zona d’ingresso dove si chiudono in una busta le borse che contengono altri acquisti). Altri che erano addetti alla manutenzione o all’esposizione della merce che sono stati spostati al ricevimento merci. Altri ancora che dal ricevimento merci sono stati spostati in area vendita. Infine alcuni, visto che nella mia realtà l’Ipercoop ha anche un distributore, sono stati spostati presso l’area di servizio. A tale elasticità nelle mansioni non corrisponde uguale “apertura” retributiva.
Le commesse/i commessi: presenza soprattutto femminile, contratti a tempo determinato. Alcune con apprendistato, altre con i voucher, ma ovviamente vengono utilizzati per mascherare un lavoro continuativo al minor costo possibile. Stipendi base da € 500,00 a € 700,00. Operatività a 360 gradi: commessa, addetta al magazzino, vetrinista. Tutto ovviamente allo stesso prezzo. Straordinari non pagati, ma pretesi: addirittura vi sono casi di colloqui durante i quali il titolare del punto vendita comunica da subito lo stipendio e la necessità di straordinari dovuti, ma non riconosciuti.
Un particolare non del tutto irrilevante: la sicurezza degli ambienti di lavoro. Molto spesso le commesse ed i commessi lavorano in totale insicurezza. Senza protezioni salgono sulle scaffalature situate nei magazzini; in alcuni casi ho personalmente verificato instabilità statica degli stessi scaffali; nessuna protezione nell’abbigliamento in dotazione. In molti casi sono pretese le divise, ma non sono fornite dalla ditta, per cui le commesse, oltre a prendere uno stipendio poco dignitoso, devono anche provvedere ad acquistare i capi di indumento richiesti.
Vita privata: praticamente assente. I centri commerciali, ormai, hanno orari di apertura 7 giorni su 7. La domenica, ovviamente, la maggior parte dei titolari dei punti vendita non concede i riposi. Le persone che hanno lavori “normali” non lavorano il sabato, ma soprattutto la domenica, quando i figli non vanno a scuola: la sbandierata difesa della famiglia va a farsi friggere di fronte alle grandi macchine da guerra del commercio.
Ci sono poi i lavoratori di società che erogano servizi in appalto: servizi di pulizia, servizi di vigilanza, servizi di manutenzione degli impianti. Per questi tipi di lavoro vale il principio “il massimo del lavoro al minor costo possibile”. Normalmente vi è un capitolato che regola le mansioni che devono essere svolte, ma nella realtà le direzioni dei centri commerciali richiedono servizi extra, ovviamente allo stesso costo. Le società difficilmente pongono dei paletti, per evitare di perdere l’appalto. Di conseguenza i lavoratori sono sottoposti a svariati lavori senza essere garantiti. Il servizio di vigilanza, di cui faccio parte, prevede un capitolato riguardante le mansioni relative alla vigilanza antincendio ed al portierato. Contrattualmente questo lavoro è quello che prevede la minor paga oraria base possibile: € 5,00 all’ora. Ma siamo in un periodo di “fame” per cui vi sono società che pagano i loro dipendenti anche meno. La vulgata comune è quella che questi lavoratori siano una specie di corpo di polizia privata, per cui ne viene richiesta la presenza in tutti i casi in cui vi sono sospetti o reali furti, o c’è una domanda di sicurezza nei parcheggi, verso malintenzionati, ubriachi, persone instabili o pericolose, minacce e/o aggressioni, antiterrorismo. Invece la loro presenza viene richiesta anche per operazioni di manutenzione con l’utilizzo di attrezzature per le quali servirebbero abbigliamenti idonei: scale alte quattro metri, spostamento carichi, montaggio/smontaggio palchi senza scarpe antinfortunistiche e/o protezioni. Il problema che riguarda questa tipologia di lavori sta nel fatto che le aziende che offrono questo tipo di servizio non entrano quasi mai in contrasto con il loro cliente (cioè la direzione del centro commerciale) per evitare di perdere l’appalto, per cui i dipendenti si trovano a dover effettuare dei lavori senza autorizzazioni scritte e con il rischio che in caso di eventuale infortunio questo non venga riconosciuto perché capitato al di fuori delle mansioni previste. I contratti sono a tempo determinato, a prestazione d’opera, a chiamata, a tempo indeterminato. In molti casi le buste paga prevedono un bonus per il patto di non concorrenza: l’azienda paga il dipendente per assicurarsi rispetto alla perdita dell’appalto: in altre parole, se la ditta perde quel servizio, chi subentra non può assumere i lavoratori che svolgevano quelle mansioni, pena pagamento, da parte del singolo lavoratore, di una penale.
Tutta la contrattualistica con le relative penali viaggia sul filo del rasoio della legalità.
Vi sono poi gli altri servizi di cui necessita un centro commerciale: pulizie; manutenzione impianti, manutenzioni generiche. L’impresa che gestisce le pulizie deve dare, anche in questo caso, il massimo del servizio ad un costo il più possibile contenuto. Le dipendenti ed i dipendenti di questo settore hanno sicuramente un riconoscimento salariale più elevato rispetto a chi si occupa di vigilanza, ma sono sottoposti a orari sempre minori rispetto al tempo che umanamente sarebbe necessario per svolgere tutte le mansioni previste.
Infine tra le aziende che gestiscono i sevizi di manutenzione, per contenere i costi, vi sono quelle che danno in subappalto alcuni lavori, e di conseguenza si ottiene una prestazione modesta dato che chi svolge questa mansione non vede la propria professionalità riconosciuta come dovrebbe.
Capitolo “tutele sindacali”. A parte per chi lavora negli iper/supermercati (ma non in tutte le catene), per tutte le altre categorie lavorative non esistono. Si è soli, sapendo che ci può essere sempre qualcuno più in difficoltà che accetta ulteriori abbassamenti di salari e di tutele.
Infine, a conclusione di questo scenario (affrontato con voluta genericità per dare l’idea di cosa vuol dire lavorare nei centri commerciali), va detto che tutte queste tipologie di lavoro mantengono il loro status di precarietà: se le vendite delle attività commerciali non vanno come preteso dai titolari, si può passare in un attimo da una condizione di occupazione ad una di disoccupazione. Per cui, comunque, il futuro è precluso: dal semplice diritto all’abitare a quello di costruirsi una famiglia.
Luca Pontani