Sono giorni di fuoco nel dibattito pubblico attorno al tema della natalità.
In questi giorni è uscito il report 2023 di Save The Children dal titolo “Le equilibriste: la maternità in Italia nel 2023” e la fotografia che ci riporta è davvero desolante. Non tanto per il numero esiguo di nascite (che chi scrive ritiene possa essere un “non problema” dal momento che a livello mondiale non sembra che la popolazione sia in via di estinzione — se non per gli effetti della crisi climatica) quanto per le condizioni retrograde in cui si ritrovano le donne che decidono di diventare madri in questo Paese.
Un elemento che non stupisce, perché in questo Paese è difficile essere donna in generale e, al di là della retorica non si è in grado di andare mai, neanche quando si parla di maternità.
Se il problema è tanto più evidente nella narrazione della destra oggi al Governo e in questi giorni impegnata in fantomatici quanto ridicoli Stati Generali della Maternità (mentre forse non sarà in grado di sfruttare i fondi del PNRR a disposizione per l’implementazione dei nidi, ma hey, che razza di madre sei se vuoi parcheggiare tuo figlio all’asilo?), non è certo da meno a sinistra dove ancora si fatica a definire l’aborto un diritto e non una tragedia e la genitorialità una scelta. Sì, “genitorialità”, perché sarebbe ora e tempo di utilizzare in modo più appropriato questa parola invece del tanto caro quanto abusato termine “maternità”, quando parliamo di famiglie.
Riconoscere che le famiglie possono essere varie e diverse, famiglie di madri, padri, famiglie monogenitoriali, famiglie allargate, fatte da genitori biologici o genitori adottivi, fatte da legami di sangue o legami di affetto e che l’unico vero discrimine è l’assunzione di responsabilità che liberamente una o più persone si assumono nei confronti di bambini e bambine desiderati.
Ma è proprio la voglia di assumersi delle responsabilità verso il Paese e verso il futuro il grande assente, non solo nella narrazione pubblica di scelte decisamente private, ma soprattutto nella politica.
E allora, anzichè fare scelte concrete per sostenere chi decide di avere un figlio/a, per tutelare i bambini e le bambine che già ci sono, e per offrire delle prospettive a chi cerca di vivere una vita onesta tra precarietà e disuguaglianze crescenti, via a parlare di sostituzione etnica, a sbattere in prima pagina la notizia di neonati affidati alle culle per la vita, a ostacolare le interruzioni di gravidanza e a continuare a negare una sana e inclusiva educazione sessuale.
A farne le spese, ça va sans dire, sono in primo luogo le donne, incatenate al ruolo di madre o costrette — come appunto titola il rapporto di Save the Children — a fare le equilibriste se vogliono tenere in piedi il ruolo di genitrici con quello di lavoratrici, seguite a ruota naturalmente dalle persone queer a cui il diritto alla genitorialità è proprio addirittura negato.
Anche il nuovissimo e sbandierato ulteriore mese di congedo all’80% di cui la Premier parla (e che attualmente esiste solo sulla carta) altro non è che un elemento in più per incatenare le donne al ruolo di madri, perché i padri ne sono esclusi. Loro devono continuare ad essere i breadwinner, detentori dei precetti, anche loro in fondo tristemente incatenati all’idea che “se non fai il bravo lo dico a papà quando torna così ti punisce”.
E insomma, il soffitto di cristallo care donne lo sfondiamo un’altra volta, almeno finchè la premier assomiglia a un’ape regina.
Benedetta Rinaldi