Mai come in giornate come quella di oggi, o in serate come quella di ieri, sarebbe più giusto dire, appare evidente che la richiesta di cambiamento che tutti sembrano avvertire è destinata a non essere soddisfatta da nessuno dei principali attori politici in campo.
Alzino la mano quanti, anche tra coloro i quali hanno visto nel “modello Milano” versione Beppe Sala una possibile prosecuzione del centrosinistra arancione seppure in salsa renziana, o tra quelli che hanno riposto le speranze di riscatto della Capitale nella ventata di novità promessa dalla vittoria di Virginia Raggi, possono dire di sentirsi rappresentati, di riconoscersi nel PD o nel M5S?
Ecco, senza alcuna spocchia o pretesa di superiorità, mi rivolgo a voi per dire che è giusto che vi sentiate così.
Perché la verità è che Milano e Roma, nelle loro enormi differenze, rappresentano lo stesso, medesimo modello: quello del meno peggio.
Un modello che sembra cucito addosso a Sala, che di sinistra non ha un bel nulla, le cui ombre (non giudiziarie, ma politiche) erano presenti e visibili da subito, ma che è stato per una certa sinistra il rospo da ingoiare per mantenere viva la fiammella dell’era arancione.
Ma un modello che sembra altrettanto applicabile alla Raggi, che ha potuto farsi forza dalle macerie lasciate dai suoi predecessori per far chiudere un occhio a più di qualche elettore sul suo standing come candidata e su parte della compagnia che si portava appresso.
Il modello del meno peggio fa scuola da anni, è anzi parte integrante della visione politica di un discreto pezzo di Paese, soprattutto della sua classe dirigente, ma a pochissimi mesi dall’aver raggiunto l’apice della sua influenza, andando ad occupare le due più importanti città italiane (e nella variante “non ci sono alternative”, anche palazzo Chigi), sembra già entrare in crisi, anzi si potrebbe dire che stia per crollare sotto il peso delle sue contraddizioni.
Di fronte all’evidente mancanza di slancio politico da parte dei due sindaci, così diversi e così simili, di fronte all’incapacità di raccogliere le speranze seminate, tanto nel centrosinistra milanese orfano di Pisapia che si è ritrovato l’esercito per strada, quanto tra i cittadini romani che non hanno visto neanche un segnale da chi si proponeva di ridare un po’ di normalità alla città, non ci sarebbe nemmeno bisogno di affrontare le questioni giudiziarie che i fatti di questi giorni hanno sollevato.
Perché il meno peggio potrebbe in fretta rivelarsi, se non si è già rivelato, come il peggio.
E allora è di un vero cambiamento che c’è bisogno, non del cambiamento finto della destra che si maschera da sinistra, non il cambiamento finto di chi urla il proprio essere nuovo e diverso per nascondere facce e metodi molto vecchi e per giustificare una scarsissima preparazione al ruolo che si ricopre.
Il vero cambiamento che vogliamo è quello che ci permetta di votare figure preparate e coerenti, senza ideologie ma piene di idee molto chiare, non candidati dal passato nebbioso, ma attivisti che lavorino per un futuro più luminoso, non rospi da ingoiare in attesa di tempi migliori, ma persone che costruiscano giorni migliori.
Parafrasando il celebre motto di una delle formazioni già citate, il vero cambiamento è destinato ad arrivare quando andrà di moda non accontentarsi.
Noi siamo pronti, e voi, con le mani alzate?